Intervista Marco Nicolai

Marco_Nicolai_DG_Finlombarda_nf2_thumb_nf1_thumbMarco Nicolai - Direttore Generale Finlombarda Professore di Finanza straordinaria presso l'Università degli Studi di Brescia e di Finanza pubblica presso il Politecnico di Milano.È direttore generale di Finlombarda - Finanziaria per lo sviluppo della Lombardia S.p.A., membro del CdA della Fondazione San Benedetto e membro del CdA e coordinatore dell'Istituto per la finanza innovativa pubblica della Fondazione Rosselli. Ricopre diverse cariche presso Enti e associazioni operanti nell'ambito della finanza innovativa, con riferimento alla finanza per le imprese e alla finanza pubblica. È autore e curatore di numerose pubblicazioni su temi economico- finanziari e tecnico-scientifici. In ambito editoriale ha pubblicato contributi con primarie testate nazionali e mantenuto una stabile collaborazione con testate nazionali su temi afferenti la finanza. Ha inoltre fornito contributi a diverse riviste di settore e pubblicazioni sui temi del project finance e della finanza strutturata.

Qual è la situazione degli investitori in venture capital attualmente in Italia?

Ad oggi l'impegno dell'operatore pubblico nel venture capital non è ancora sufficientemente incisivo, con il risultato che lo sviluppo del segmento in Italia è ancora ridotto, soprattutto se paragonato all'evoluzione raggiunta in Paesi come Stati Uniti e Regno Unito - non confrontabili per stato di avanzamento rispetto alla situazione italiana - , ma anche se paragonato alla crescita di alcuni mercati europei, quali Francia e Germania. Va sicuramente rilevata la persistenza di un gap quantitativo e qualitativo nel nostro sistema Paese, anche se la situazione, rispetto agli anni scorsi, risulta lievemente migliorata. Gli ultimi dati sul venture capital documentano, infatti, negli ultimi due anni la crescita del segmento dell'early stage in Italia: I'ammontare degli investimenti raggiunto nel segmento nel corso del 2008 pari a 115.000.000 € rappresenta una quota significativa se comparato rispettivamente ai 28.000.000 del 2006, ai 30.000.000 del 2005 e ai 23.000.000 del 2004. E' bene sottolineare, tuttavia, che gli stessi dati evidenziano che il volume complessivo degli investimenti e all'incirca quello di oltre undici anni fa (prima delle bolla speculativa del 2000), evidenziando una mancata reale progressione del segmento. In qualita di operatore istituzionale, la mission di Finlombarda e' quella di promuovere il capitale di rischio, attraverso l'ideazione e la realizzazione di strumenti finanziari innovativi e vicini alle esigenze del tessuto imprenditoriale locale, sia che ci si riferisca ad imprese in fase di start up, sia ad imprese con un grado di maturazione più elevato.

Quali dati emergono relativamente aII'azione degli istituzionali sul capitale di rischio?

In primis, va premesso che l'intervento pubblico trova una sua giustificazione unicamente in quei settori o segmenti di mercato in cui non si pone in modo concorrenziale rispetto all'intervento del privato, come ad esempio l'early stage, segmento in cui può anche incidere di fatto sul tasso di nuova imprenditoria del territorio cui fa riferimento. E' anche vero che l'intervento pubblico nel risk capital senza un rapporto e un legame con l'operatori privato, rischia di ridursi alla ri-edizione di interventi che in passato non hanno ottenuto buoni risultati. A partire dal 2003 abbiamo condotto alcuni studi sul mercato del venture capital pubblico e privato, nell'ambito dei quali abbiamo evidenziato le prime iniziative di capitale di rischio attivate in Italia di matrice pubblica, come, ad esempio, le diverse iniziative di Fondi regionali di venture capital nell'ambito della programmazione 2000-2006 dei Fondi strutturali (la maggior parte mai diventata operativa) e il Fondo High Tech per il Mezzogiorno, arenatosi nelle Finanziarie che si sono poi succedute prima di vedere finalmente l'alba. I dati dell'Osservatorio MET 2007 rilevano che, sul complessivo degli incentivi nazionali (anni 2002-2006) la quota di contributi a fondo perduto nelle diverse accezioni (contributo in conto capitale, contributi in conto interessi, crediti imposta ecc.) vale piu del 50% (contro l'oltre 70% del livello regionale), cui va aggiunta una quota significativa del 42% di contributi misti (contro il 12,8% del livello regionale), e dato ancora piu' preoccupante, la quota nazionale di regimi di aiuto al capitale di rischio non supera 11% degli incentivi, attestandosi allo 0,86%, contro una quota di incentivi regionali del 2,6%. Tali percentuali evidenziano indubbiamente un generale disimpegno degli istituzionali sul tema del capitale di rischio.

Quali saranno secondo lei, dal punto di vista dei policy maker, le nuove frontiere del capitale di rischio in Italia, soprattutto in questo momento di crisi economica che si é venuto a prospettare?

E' molto difficile prevedere quale sara' il futuro del capitale di rischio, vista la giá scarsa sensibilità al tema dimostrata ad oggi da parte di chi si occupa di politica finanziaria e industriale net nostro Paese. Posso augurarmi che tutta la pubblica amministrazione si muova verso una maggiore intensificazione del proprio impegno e che, a prescindere dalla crisi, tale impegno possa dare risultati soddisfacenti e continuità negli interventi. Sono convinto che ad un importante intervento finanziario, debba contemporaneamente accompagnarsi un intervento a livello culturale. Gli operatori di mercato, che si confrontano quotidianamente con i numeri dei propri budget, sperano in un intervento dei "policy maker" più incisivo: si pensi, infatti, che già nel 2007 il 47,1% delle imprese intervistate nell'indagine MET 2007, ritenevano che una maggiore disponibilità di capitale di rischio avrebbe potuto contribuire alla propria crescita.

Parlando di nuova imprenditoria, entriamo nel territorio delle Start up tecnologiche. Un cammino ancora piu' complesso oggi quello del nuovo imprenditore in cerca di capitali.

Era gia' difficile prima della crisi finanziaria che nuove esperienze imprenditoriali riuscissero a trovare finanziamenti dal mondo del credito, in quanto, il piu' delle volte, prive di garanzie, di storia e di business consolidati. La situazione si complica ulteriormente in caso di start up tecnologiche: il deficit di risorse finanziarie per le start up, infatti, riguarda anche l'esiguo numero di operatori dedicati, oltre che la poca sensibilita' delle istituzioni verso il segmento. Sulla base di questo panorama, nel 2001, Finlombarda ha costituito la prima societa' di gestione del risparmio pubblica e nel 2004 ha lanciato il Fondo Next, primo fondo mobiliare chiuso di venture capital pubblico-privato in Italia sottoscritto da investitori istituzionali, con lo scopo di diffondere e alimentare una cultura del capitale di rischio, oltre che supportare le aziende innovative nella loro prima fase di vita.

II fondo Next opera con un arco temporale di 14 anni — ovvero con una permanenza superiore rispetto ad iniziative analoghe a livello regionale e nazionale sia come sottoscrittore di fondi di operatori privati sia, in alternativa, come investitore diretto a fronte di un co-investimento di altri operatori finanziari, in un'ottica sussidiaria nei confronti del mercato.

Esistono degli strumenti finanziari come ad esempio il "Fondo Austriaco", (oggetto di studio del nostro fondatore) che potrebbero essere applicabili a istituzioni italiane, Finlombarda compresa. Poniamo per esempio € 100.000 di investimento complessivo permettono a un'istituzionale di garantire (come ruolo di assicurazione) una meta' del capitale pari a € 50.000. In questo modo l'istituzione non andrebbe a erogare capitale e registrare un cash flow negativo. L'eventuale erogazione ci sarebbe solo in caso l'impresa andasse male. Secondo lei non sarebbe possibile rendere disponibili questi strumenti finanziari ad hoc per le StartUp (dato che lei parla di un deficit del settore pubblico) che garantirebbero un notevole effetto moltiplicatore?

 Quando abbiamo iniziato a monitorare gli strumenti di finanza agevolata a supporto delle Start Up di impresa con capitale di rischio presenti in Europa, ne é risultato un dossier contenente 4 casi internazionali di "Public Research Organitations (PRO)", in grado di focalizzare tutti gli interventi d'incentivazione a servizio della comunita imprenditoriale nascente. Questo tipo di analisi ci ha aiutato a comprendere che é inutile connotare in termini di originalità la propria azione e il proprio impegno, se non si é in grado di attivare un portafoglio di strumenti mirati e continuativi nel tempo, nonchê dotati di un'adeguata massa critica. Un esercizio fantasioso o virtuoso, infatti, ma temporalmente isolato e quantitativamente inadeguato ad affrontare il fenomeno, é un esercizio poco raccomandabile e poco fruttuoso. A ciò si aggiunga che l'impresa in fase di Start Up rappresenta un target che si rinnova di volta in volta, difficilmente identificabile e, per cosi dire, latente: l'imprenditore futuro, infatti, oggi potrebbe risultare essere uno studente, un lavoratore e finanche un pensionato.

In quanto target latente, le imprese in fase di strat up richiedono che la conoscenza dello strumento pubblico sia fortemente diffusa. In caso contrario, si rischia solo di attivare interventi sterili e non effettivamente utili. Si possono cogliere anche spunti interessanti dalle esperienze, ma poco sarebbe garantito in termini di efficienza se non vengono assicurate sufficienti risorse finanziarie e continuità nell'azione di supporto. Tra questi spunti, interessante é anche quella da Lei proposta, anche se va fatta attenzione sul fatto che l'impegno delle garanzie va contabilizzato sui bilanci pubblici. II Rapporto del Politecnico sul finanziamento del Venture Capital, rivela quanto poco il mercato privato metta a disposizione delle StartUp e con quale grado di discontinuity nel tempo. Finlombarda, dal canto suo, ha predisposto strumenti e misure complementari e coerenti tra loro e con risorse adeguate anche a dare continuità nel tempo alI'azione pubblica, proprio con lo scopo di sostenere in modo più concreto possibile il territorio.

Quali strumenti avete approntato con tale complementarietá?

II gia' citato fondo Next va in questa direzione. Tuttavia, poche sono ancora le nuove imprese in grado di soddisfare le aspettative di profittabilita' di un fondo di venture capital: il fondo Next, infatti, investe solo sul 2 - 3 % tutte del totale delle imprese analizzate. E' per questo che, quale strumento complementare al fondo Next, abbiamo attivato anche il fondo Seed, studiato in modo da soddisfare anche le esigenze di Start Up (magari tecnologiche), che non riuscirebbero a garantire i rendimenti che il Venture Capital richiede. II Fondo SEED ha una dotazione di 10 milioni di euro e nasce per colmare il gap finanziario relativo alla fase di strat up di impresa dove lo sfavorevole profilo rischio¬rendimento disincentiva l'intervento degli operatori privati. II fondo Seed, pertanto, come il fondo Next, si pone in modo sussidiario rispetto agli investitori istituzionali che, notoriamente, intervengono in fasi più avanzate del ciclo di impresa, in quanto prevede che il rimborso del debito contratto sia subordinato al rimborso del finanziamento verso il sistema bancario nel limite del triplo del valore del finanziamento. Ciò favorisce l'effetto leva finanziaria e incentiva il ricorso al debito bancario.

Quali spunti dal panorama estero avete tratto per SEED?

Abbiamo condotto diversi studi e ricognizioni a livello europeo sui modelli di finanziamento a supporto della creazione di imprese innovative. In ciascuno dei sistemi Paese o dei sistemi locali studiati e' emerso come le istituzioni pubbliche abbiano attivato portafogli di strumenti complementari focalizzati anche sulla fase Seed, nei quali risulta ricorrente il ricorso ai prestiti partecipativi e ai mezzanine finance. La prassi di quasi tutti gli interventi di agevolazione di questo tipo, consiste, nell'erogazione a stato di avanzamento lavori, a fronte di una rendicontazione di spesa. L'attenzione ai controlli invece che essere ex-post, viene posta ex-ante. Abbiamo pensato, con il fondo Seed, di accettare la possibilità dell'anticipazione finanziaria di tutto l'investimento e di richiedere solo un'auto- certificazione delle spese al termine del programma di investimento, alleggerendo l'impresa dagli aggravi amministrativi. Queste caratteristiche rendono il fondo Seed assolutamente innovativo, in quanto pongono attenzione al fatto che i tempi dell'imprenditoria e dei mercati siano distanti da quelli delle pubbliche amministrazioni (mi riferisco alla tempistica per ottenere la documentazione, alle certificazioni etc.). La complessita' su cui dovremmo lavorare oggi è quella della semplificazione.

Quali sono i numeri attuali di Seed e i suoi obiettivi?

Abbiamo ricevuto 67 domande di finanziamento e ammessi 15 progetti di impresa o imprese gia' costituite, per un valore degli investimenti previsti agevolabili di circa 11,5 milioni di euro. Le domande ammesse riguardano imprese con fatturato complessivo stimato dopo il terzo anno di attivita' pari a circa 32,5 milioni di euro e con 115 risorse professionali coinvolte. Tuttavia, 50 domande ricevute solo lontanamente rappresentano le potenzialita' che questo fondo puo' offrire al sistema imprenditoriale locale. II fondo Seed adotta un atteggiamento pragmatico rispetto alla restituzione del capitale da parte dell'impresa: se l'impresa fallisce, infatti, il finanziamento si trasformera' in contributo a fondo perduto, se l'impresa avrà successo la restituzione dei capitali erogati sara reimpiegata per finanziare altre start up, innestando un circuito virtuoso che garantisce la concessione di agevolazioni a sempre nuovi imprenditori e continuità dell'intervento pubblico nel tempo. Trovare nuovi imprenditori che sin dall'origine siano educati a rapportarsi con un partner finanziario o che abbiano una responsabilita' gestionale nei confronti di un operatore finanziario, vuol dire inserire un elemento assolutamente nuovo rispetto all'imprenditoria "fai da te", che da sempre alimenta - dal punto di vista finanziario - l'evoluzione della vita d'impresa nel nostro Paese.

Cosa consiglierebbe di fare ai nostri lettori che sono anche imprenditori e possibili interlocutori di riferimento del fondo Seed o di altri vostri fondi?

Constato ancora il persistere di una difficoltà del nuovo imprenditore a presentarsi con Business Plan sufficientemente chiari. Non occorre che il Business Plan di un'impresa sia sofisticato, e' sufficiente che disponga in modo ordinato le aspettative economiche del business e renda visibili quali siano gli algoritmi dell'equilibrio finanziario. Se un operatore intende investire risorse finanziarie in un'impresa, dovra' essere anche in grado di comprendere quali siano i numeri principali del business da finanziare e come siano strutturate le fondamenta dell'impresa. Troviamo spesso delle rappresentazioni quantitativo — economiche deficitarie da questo punto di vista. L'altro aspetto che solitamente viene trascurato a un'esatta rappresentazione delle azioni che l'imprenditore intende mettere a segno nel tempo, soprattutto nei primi sei mesi, dimostrando di aver calato la propria idea originaria in una dimensione temporale e che si è prefissato specifici obiettivi da conseguire. Un ultimo punto, certamente non trascurabile, e' l'investimento sul capitale umano: è infatti, la determinazione dell'imprenditore che rende vincente un'idea, non solo l'innovativita' del suo contenuto. Una rappresentazione economica chiara, obiettivi temporali altrettanto definiti, un coinvolgimento personale declinato in questi termini, sono, per un imprenditore nei confronti del suo possibile investitore, un primo biglietto da visita vincente.

Le Pmi che fanno parte del settore "small" mancano completamente di strumenti informativi di tipo tecnico e finanziario erogati da team estremamente competenti. Sono infatti fuori dal target dei grandi fondi PE e VC e dagli advisor, così da doversi rivolgere ad un professionista "locale", generalista (tipicamente commercialista o avvocato) spesso non in grado di affrontare in modo sistemico le esigenze di crescita / consolidamento. Come crede si possa colmare questo gap di conoscenze?

Nessuna delle soluzioni cui Lei accenna puo' essere considerata come singolarmente sufficiente a raccogliere la sfida che abbiamo di fronte. Non c'é alibi, ad esempio, che ci puo' disimpegnare dal cambiare le nostre università nei loro percorsi formativi. Sono necessari, infatti, anche nelle discipline tecnico¬scientifiche moduli formativi economico-finanziari di base. Purtroppo, sono dell'opinione che esista ancora un'università troppo distaccata dalla dimensione imprenditoriale. Anche in Italia, come gia' accade in America, abbiamo la necessita' di professori in materie scientifico-tecnologiche, che abbiano anche esperienze imprenditoriali e di un mondo accademico che sia piu' coinvolto con il mondo economico reale. In quest'ottica, incubatori e network, virtuali e non, sono necessari. In sistemi universitari come ad esempio Harvard, si trova una pluralita' e una concentrazione di strumenti, operatori, e conoscenza impressionanti: solo un sistema così strutturato diventa un effettivo catalizzatore di eccellenze. Inoltre, spesso sussiste un problema da parte delle aziende "periferiche" di dialogare con i professionisti finanziari che operano nei grandi centri, come soprattutto Milano. Relativamente al problema della distanza geografica da centri di competenza come Milano, credo non si debba concepire la lontananza come un limite. L'evoluzione tecnologica ci permette di dialogare con il resto del mondo con continuita', azzerando le distanze. E, comunque, anche in altri Paesi le piazze finanziarie non sono dietro l'angolo. Superate le distanze, rimane il problema di sapere a chi rivolgersi che sia dotato di adeguato konw-how.

Quali sono le soluzioni estere e come potrebbero aiutare questo dialogo e sviluppare le potenzialitá del mercato?

II problema e' che non esiste un sistema ricorrente, strutturato, con organizzazioni visibili che alimentino tutto questo, che il piu' delle volte é lasciato alla spontaneità e alla tenacia dei singoli. Da questo punto di vista, come operatori pubblici, dobbiamo fare sicuramente di piu'. Non si puo' pensare che ci sia un solo attore, un solo strumento o un solo network in grado di portare a sistema un gioco di squadra. Siamo partiti con il fondo Next e lo abbiamo fatto censendo tutte le realta' internazionali che avevano utilizzato fondi di Venture Capital. Abbiamo valutato, ad esempio, le iniziative irlandesi, che utilizzano gli stessi fondi dell'Obiettivo1 destinati in Italia al Mezzogiorno, scoprendo come fossero giá al secondo ciclo di programmazione nell'utilizzare tali risorse per attivare il Venture Capital nel proprio Paese. II fondo israeliano Yozma e' datato addirittura 1993: parliamo di una realta' con uno storico di 8 anni di esperienze, significativamente recensita da tutti i punti di vista quale benchmark di riferimento. Se dovesse persistere la modalita' d'intervento comune in Italia basata su iniziative a fondo perduto quali alternative all'intervento degli operatori di Venture Capital, si consoliderebbero un atteggiamento culturale e una prassi penalizzanti verso chi invece si sforza di aprire un nuovo mercato, quale quello del Venture Capital.

Infatti, e' comune domandarsi perche' un operatore dovrebbe firmare un contratto d'investimento e assumersi responsabilità nei confronti di un investitore di un certo tipo per avere la propria parte d'investimento di capitale di rischio in una Start up compresa tra 500.000 e 1.000.000 €, se puo' ottenere un contributo a fondo perduto della stessa dimensione e senza le stesse responsabilitá? Bisogna sapere modulare anche la strumentazione pubblica, non solo perche' supporti realmente I'imprenditoria, ma anche perche' non faccia danni: abbiamo visto nel Mezzogiorno cosa e' accaduto senza una giusta modulazione della strumentazione pubblica, quante leggi sull'imprenditoria giovanile e risorse finanziarie sono state implementate e con quali risultati. Noi abbiamo cercato di modulare progressivamente strumenti piu' privatistici, come il fondo Next e il fondo Seed, con strumenti tradizionali, in quei casi in cui il tasso di successo ha probabilità piu' contenute e soltanto il capitale pubblico puo' accettare di intervenire. Occorre stare attenti a che nessuno degli interventi faccia invasione di campo: abbastanza semplice che non avvenga l'invasione di campo tra l'operatore privato e quello pubblico, mentre é meno semplice che non avvenga il contrario, l'operatore pubblico faccia invasione di campo in quello privato.

Finanzastraordinaria.it attraverso il nostro fondatore sta collaborando allo sviluppo di incubatori per start up in zone marginalizzate del territorio milanese attraverso la collaborazione con operatori e istituzioni sul territorio. in particolare un progetto riguarda Ia creazione di un incubatore dedicato al settore della moda che vede tra gli interlocutori anche il primo istituto italiano del settore. Sarebbe interessante per Finlombarda che queste attivita avessero un canale di espansione privilegiato per fare sistema?

Finlombarda potrebbe ipotizzare un interesse per i progetti di start up che "ce ('hanno fatta" e creare all'interno dei suoi Fondi un canale dedicato al settore moda? Noi abbiamo cercato di non cogliere l'accezione esclusivamente tecnologica dell'innovazione,aprendoci anche ad altri settori. Nello specifico, parlando del settore moda, sono convinto sia un segmento importante, come molti altri che hanno caratterizzato l'immagine e il successo del nostro Paese nel mondo. Un segmento trascurato e dato per scontato. Penso sia uno dei settori che ha avuto piu capacita' di dialogare nel mondo, di diversificarsi, di sfruttare il processo di globalizzazione, come non hanno saputo fare altri settori italiani. Al momento Regione Lombardia ha attivato alcuni strumenti a favore del settore Moda come il "Programma delle iniziative dirette regionali a favore del settore produttivo della moda", che tra il 2007 e il 2009 hanno consentito di attivare circa 31 milioni di euro. E' importante che questo segmento sia continuamente alimentato, che ci sia un supporto alle StartUp, per questo oltre ai bandi già promossi in questo campo, abbiamo l'intenzione di rinnovare questa attenzione, non lasciarla come azione episodica ma che sia intervento e impegno programmatici.

Editor finanzastraordinaria.it 18/09/2009