Intervista a Enrico Gasperini

EnricoGasperiniEnrico Gasperini dopo aver fondato 15 anni fa Inferentia, società che poi ha quotato in borsa nel 2000 (attualmente si chiama FullSix), nel 1995 ha deciso di creare Digital Magics con l’idea di farne un incubatore industriale che si specializzasse nel settore delle startup multimediali. Per strutturare il progetto è stato preso spunto dall’esperienza della Silicon Valley (Idealab, Ycombinator).

Quali sono ad oggi i risultati raggiunti da Digital Magics?

In 5 anni abbiamo incubato 25 start up e abbiamo in previsione di affiancarne altre 10 nel corso del 2011. Le aziende partecipate ad oggi fatturano oltre 50 milioni di Euro mentre il capitale investito nostro e di terzi è stato di circa 15 milioni di Euro. Finora abbiamo realizzato 3 exit.

Come avviene il round di finanziamento?

Il finanziamento si avvale di diversi canali: angels, fondi, leva finanziaria e capitale nostro sia “fresco” che risultante dalle prime exit realizzate fuoriuscendo da investimenti in start up ormai passate alla fase “postincubazione”.

Vi avvalete anche del supporto del capitale di rischio Business Angels, Vc?

Siamo seguiti da Business Angel e Fondi di Venture Capital. Ma non dimentichiamo anche i gruppi industriali che soprattutto nel settore Telco e Media che sono settori che per innovare vogliono partecipare a progetti promettenti.

Come vi raggiungono le start up e quali sono i profili dei promotori?

Attraverso diversi canali: università, persone che lavorano e coltivano un’idea che desiderano sviluppare, autocandidature.

Come funziona il processo di avvicinamento: il neoimprenditore vi presenta il progetto e…

Il metodo che seguiamo è abbastanza originale rispetto a quanto accade normalmente in Italia. Traendo spunto anche dalla realtà americana della Silicon Valley abbiamo deciso di mettere a disposizione dell’inventore know – how specializzati e un importante network di relazioni finanziarie e nel marketing-comunicazione in modo da sviluppare l’idea facendola divenire impresa.

Ho parlato di inventore volutamente perché chi viene qui ha un’idea, spesso non ha ancora effettuato ulteriori passaggi evolutivi verso l’azienda.

Quindi il compito del team è captare dai pochi elementi se l’idea è percorribile e guidare l’inventore verso lo sviluppo del proprio business plan?

Esattamente. Mettiamo a disposizione il nostro Digital Magics Lab costituito da esperti che sappiano capire l’idea e la sua bontà, le potenzialità di sviluppo nel mercato e di scalabilità, l’originalità e poi guidarla per renderla impresa.

Relativamente al business plan, preferiamo considerare ancora prima il business model. Coloro che hanno abbozzato un business plan spesso fanno riferimento a valori e costi non a mercato per cui i numeri non parlano in modo veritiero della situazione, per esempio qualcuno ha portato dati pubblicitari riferiti al mercato straniero ma che in Italia hanno valori molto differenti.

Pertanto il team si trova dinanzi ad una “pietra” da lavorare e sgrezzare per ricavarne una gemma. Quali sono le tempistiche di incubazione?

Generalmente seguiamo l’impresa nella fase critica dei primi 3-6 mesi che sono indispensabili per concretizzare il business model e la struttura.

Avete risorse interne per seguire anche la parte burocratica, amministrativa, giuridica e fiscale molto determinante e strategica per ogni start up?

All’interno della nostra struttura abbiamo un team che segue anche questi aspetti proprio per fornire un’assistenza a 360° alla nuova società.

Terminata la fase dei primi 3-6 mesi cosa succede all’azienda incubata, è troppo presto comunque per avviare una fase post-incubazione che solitamente scatta al terzo anno di vita.

Dopo i primi 3 mesi che sono dedicati alla realizzazione del “prototipo”, seguono altri 3 mesi per concretizzare il progetto e realizzare dunque qualcosa che sia lanciabile sul mercato.

Dopo i primi 6 mesi circa le aziende necessitano di altri round di finanziamento e per questo ci sono molti scenari possibili. Ci avvaliamo ad esempio del supporto del fondo londinese Brainspark, di cui siamo i secondi maggiori azionisti, del supporto di fondi di venture capital, di gruppi industriali o di club come Neon, il network di investitori fondato da Elserino Piol e Mario Citelli.

E’ sintomatico che il suo incubatore, uno dei casi di successo italiano nel settore, si avvalga di una forma di finanziamento estera. Un ineluttabile considerazione: il mercato del Venture Capital non decolla nel nostro paese…

Purtroppo in Italia le risorse ci sono ma manca del tutto un ambiente favorevole al Venture Capital. le istituzioni e le università dovrebbero essere l’enzima da cui si possa sviluppare una filiera consapevole e di successo. E lo Stato dovrebbe favorire al massimo la nascita di startup innovative, si tratta dell'unica forma di sviluppo della nostra economia, l'unica industria che puo' creare nuovi posti di lavoro.

Così come mancano gli “intermediari” tra i progetti sviluppati nell’ambito della ricerca per esempio, e gli investitori.

Elserino Piol che abbiamo incontrato per esempio cita come soluzione interessante il Fondo Yosma.

Si è parlato molto di costituire entità finanziarie come quelle sperimentate con successo in Israele. Il Venture Capital attualmente è indisponibile a coprire il settore della ricerca.

Sono convinto che ci sia nel nostro paese un’ottima filiera da testare e che la nostra Regione in particolare [ndr Regione Lombardia] abbia un’importante rosa di imprese, atenei funzionanti e incubatori come il nostro che già potrebbero costituire una mini Silicon Valley.

Lei ha parlato di due binari di finanziamento. Nel caso in cui il fondo Brainspark decidesse di non investire, quali canali alternativi verrebbero percorsi?

Si va direttamente sul mercato.

Abbiamo visto che il business plan passa “in secondo piano” almeno inizialmente a vantaggio dell’idea, dell’invenzione. Vale lo stesso anche per il business model?

Le farò un esempio su tutti. Facebook non aveva un business plan strutturato eppure è stato un successo mondiale. L’idea deve essere forte, anticipare un nuovo bisogno insieme ad una nuova tecnologia e un business model discriminante, scalabile sul mercato.

Quali tipologie di start up sono state incubate e sono incubate tuttora in Digital Magics?

Sono start up rivolte al settore tecnologico nella comunicazione. Abbiamo incubato tra gli altri casi di successo come 4WMarketplace, che propone un modello di pubblicità contestuale in competizione diretta con i network globali per gli annunci, scelta da molti importanti news publisher italiani ed europei.

Un'altra società di successo è Bibop che stiamo portando alla quotazione all’Aim di Londra. Un'altra ancora Jumpin, un modello innovativo di Social Shopping. Tra le exit realizzate The BlogTv.

Quale quota di Equity viene investita dal vostro incubatore nella start up?

In genere all'inizio puo' essere la maggioranza se investiamo solo noi nella fase di seed. Possiamo avere quote in equity dell’80-90% come del 60-70%. Ma non è una regola. A volte partiamo con una minoranza.

In Lombardia esiste un fondo specificamente dedicato al settore dell’innovazione tecnologica: Fondo Seed. Avete mai pensato di presentare un progetto?

Per il momento abbiamo collaborato con altre realtà, come l’acceleratore di impresa del Politecnico e i fondi Innogest e Atlante di Banca del Gruppo Intesa Sanpaolo. Inoltre abbiamo trovato molte opportunità di finanziamento nel comparto industriale nei settori Telco e Media. 

Digital Magics è un incubatore che a differenza di altri ha saputo far fruttare le start up e contemporaneamente crescere con esse. Quali sono le ragioni di questo successo?

Abbiamo realizzato un circolo virtuoso per costruire un volano di opportunità concrete e di successo. La nostra forza è arrivare prima degli altri e realizzare prima degli altri.

La velocità è tutto in un settore come il vostro, dedicato alla tecnologia che si sa avanza a ritmo serrato. Bisogna cogliere l’attimo e sviluppare in modo rapido l’idea portandola ad un progetto concreto. Un compito stimolante ma non facile.

Questa è senza dubbio una delle riflessioni che guida il nostro incubatore. Essere veloci ma meticolosi contemporaneamente nel portare a fioritura l’invenzione inserendola nel mercato per tempo.

Quali sono secondo lei i problemi a cui vanno incontro gli incubatori?

Le eccellenze italiane sono troppo scollegate tra loro. Il nostro vantaggio probabilmente è essere più veloci degli altri, abbiamo una struttura in cui ciascuno si occupa del proprio pezzettino ma si guarda poi tutti verso la realizzazione dell’insieme del progetto perché si possa far uscire l’idea dal bozzolo e portarla sul mercato.

Crede che l’ordinamento italiano dovrebbe concepire degli interventi legislativi che sgravino le start up per esempio della pressione fiscale?

Assolutamente sì. Oltre che dal punto di vista fiscale sarebbe importante identificare sempre advisor seri per fare in modo che i soldi fruiscano alle start up più meritevoli. Ma questo da solo ancora non basta, bisogna anche coltivare delle best practice: creare un Aim italiano, un mercato small. Il nostro processo di quotazione è troppo complesso.

Una comunicazione in anteprima per FinanzaStraordinaria.

Stiamo organizzando per il 29 giugno il nostro Demo Day, una giornata dedicata all’incontro tra le nostre start up e una platea di investitori.  

Cosa avrà di diverso da altri incontri tra imprese e investitori?

Sarà uno showcase all’americana. Vorrei giocare sulla velocità, far risparmiare tempo agli investitori ma al contempo far ottenere tutte le informazioni chiave necessarie per determinare la volontà di approfondire l’idea e decidere poi di investirci. Avremo per questo dei one to one tra imprenditore e investitore. Il resto lo farà il business model proposto.

Editor Finanzastraordinaria 16/06/11