Intervista Lorenzo Castellini

Lorenzo_CastelliniLorenzo Castellini dopo una laurea in chimica conseguita all'Università di Pavia ed un M.B.A. Presso la Columbia University di New York, ha iniziato la sua carriera all'interno del settore farmaceutico in Eli Llly Corp. Ha successivamente rivestito la carica di Direttore Generale e Amministratore Delegato in alcune aziende attive nel settore chimico e farmaceutico: Galenitalia e Euticals (prima e seconda metà anni '80), Angelini (primi anni '90). Attualmente è Presidente di Bouty S.p.a. società farmaceutica che si occupa in particolare dei settori consumer, diagnostica e drug delivery.

Quali sono stati i passi che hanno traghettato Bouty nel mercato Expandi?

Per comprendere quali passi sono stati fatti da Bouty bisogna ripercorrere la storia dell’azienda: la società era nata come filiale italiana di una multinazionale americana. A seguito del buy out deciso dal management nel 2003 abbiamo iniziato a ragionare come entità indipendente e, naturalmente, ci siamo ritrovati a valutare quali passi realizzare per continuare l’espansione della nostra società. Quattro anni dopo, abbiamo identificato un’importante oppurtinità nella quotazione, che abbiamo creduto potesse essere un punto di partenza per continuare l’evoluzione dell’azienda.

Quali sono stati i cambiamenti più radicali che Expandi ha portato nella struttura e nella gestione di Bouty?

La struttura non ha subito grossi cambiamenti. Lo stesso non si può dire per la gestione che invece ha registrato alcune modifiche, perché Expandi è un mercato che – anche se in apparenza può apparire di dimensioni ridotte – presenta regolamentazioni di accesso quasi uguali a quelle del segmento Star. A livello gestionale l'ingresso in Expandi comporta degli impegni costanti e continui a cui, in precedenza, si era forse poco abituati e preparati, non ultimo l'obbligo di pubblicazione trimestrale di ulteriori notizie societarie. Il cambiamento gestionale è a mio parere positivo, l'unico fattore negativo è la presenza di costi necessari per sostenere tali obblighi. La quotazione ha portato anche altri elementi positivi: si è instaurata l’abitudine a prendere le decisioni in una maniera più organizzata, ad essere ancor più trasparenti, già a partire dai Consigli di Amministrazione. Questi aspetti agevolano la crescita dell'azienda poiché comportano l'obbligatorietà a rispettare scadenze e comunicazioni fondamentali che, prima della quotazione, potevano essere svolte o meno, a discrezione della società.

Quali i reali motivi che vi avevano portato alla quotazione?

Il motivo principe è stata la volontà di far crescere la Società. Come dicevamo all’inizio, prima di quotarci in Borsa abbiamo realizzato un management buy out che ha fatto entrare dei fondi di Private Equity. A un certo punto della vita dell’azienda abbiamo, però, pensato che fosse importante permettere a questi fondi di Private Equity di uscire senza provocare ripercussioni nella vita dell’azienda e rientrare nel mercato. Benché nel nostro caso i Fondi di Private Equity non avessero mai manifestato palesemente la volontà di vendere le loro quote, avevamo consapevolezza del fatto che la loro presenza in una società solo per un certo periodo, e ciò è insito nel loro modus operandi . Bouty, poi, una volta quotata, è stata in grado di andare avanti da sola per la propria strada.

È sempre una passo necessario e auspicabile fare prima un “passaggio” con i fondi di private equity?

Per le nostre dimensioni direi di sì, anche se non si può affermare che lo sia in senso assoluto. Un’azienda di medie o grosse dimensioni tutto sommato può quotarsi anche senza passare dal Private Equity, perché è già abituata a certi tipi di relazioni sia a livello bancario che nella comunità finanziaria. Per un’azienda di dimensioni pari alla nostra, il Private Equity assicura invece tutte quelle agevolazioni e relazioni, con studi legali, Borsa e Consob, che prima non possedeva.

Riesce a raccontare agli imprenditori che, come lei, sono sempre più dubbiosi tra le aggressive offerte dei fondi di private equity e la marose turbolenze della borsa i pro e i contro delle due soluzioni?

Le soluzioni possono coincidere: si possono scegliere sia gli “aggressivi” che le “turbolenze”. Per quanto ci riguarda noi abbiamo optato sia per il private equity che per la Borsa. Non è una scelta fra l’uno o l’altro: per quanto riguarda la quotazione, l’imprenditore non deve essere interessato al valore del titolo giorno per giorno, quanto piuttosto a vedere la Borsa come fonte di finanziamento, concentrandosi sulla crescita dell’azienda. L'aspetto valoriale del titolo interessa molto di più gli investitori rispetto alla Società e all'imprenditore. Per quanto riguarda la nostra esperienza, posso dire che i fondi di Private Equity non sono stati poi così ingombranti ed aggressivi, anche se eravamo consapevoli fin dall'inizio che il loro scopo era chiaramente di avere un ritorno maggiore sul loro investimento.

L’esperienza della quotazione come da lei sottolineato ha portato all’azienda nuove risorse finanziarie. Quali obiettivi di crescita sono stati realizzati?

Siamo entrati in Borsa da poco [ottobre 2007 n.d.r.], ma stiamo crescendo esattamente come ci eravamo imposti per quest’anno. In questo momento stiamo puntando a crescere per linee interne, dal momento che la crescita per quelle esterne è ora abbastanza difficile da perseguire e non di nostro interesse, viste le alte pretese che gli imprenditori di questo settore avanzano per la vendita dei propri asset. Se le cose dovessero cambiare, la crescita per linee esterne sarebbe molto auspicabile. In generale abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati nel primo trimestre in termini numerici e, per ora, non vediamo difficoltà nel raggiungere quelli di fine anno. Anche nel settore dello sviluppo dei prodotti, stiamo proseguendo esattamente come previsto.

La quotazione è avvenuta ad ottobre 2007. Oggi a distanza di alcuni mesi quali nuovi progetti ed obiettivi state pianificando?

Stiamo sviluppando prodotti frutto della nostra ricerca, che lanceremo molto presto, soprattutto nel settore dei prodotti transdermici, nella diagnostica e nel segmento consumer.

Abbiamo spesso affrontato durante le interviste il tema della cosiddetta “fuga dei cervelli” dall’Italia. Uno dei campi più importanti in cui la ricerca dovrebbe essere incentivata è proprio quello diagnostico e medico. Secondo lei quali incentivi si potrebbero realizzare da parte dello stato e delle istituzioni finanziarie per consolidare la ricerca in Italia?

Credo poco negli incentivi in generale perché quello che conta è il mercato di sbocco dei prodotti della ricerca: se il mercato di sbocco è “coccolato” e tenuto in considerazione dal Governo italiano, allora le aziende possono investire e vendere. Invece quello che sta accadendo nel settore della Salute, considerando la situazione difficile della finanza pubblica, è un atteggiamento di risparmio. Questo certamente non favorisce la spinta alle aziende ad investire nella ricerca e in nuovi prodotti, con la conseguente demotivazione dei nostri ricercatori a lavorare in Italia.. Anche i tempi di pagamento dei prodotti di ricerca, la cui remunerazione non avviene mai infatti prima dei 270/300 giorni e, mediamente, l’incasso a un anno è lo standard., non sollecita le aziende ad investire nel settore.

Quali sono i vostri interlocutori principali in tema di ricerca?

Lo sviluppo di nuovi prodotti, in particolare nel settore della biologia molecolare per esempio, avviene con la collaborazione di università? Noi abbiamo una divisione interna di ricerca: nella diagnostica stiamo sviluppando una serie di kit e disponiamo di oltre una quindicina di ricercatori che si dedicano a questo. Sempre sul fronte della diagnostica gli altri interlocutori privilegiati per noi sono altre aziende, con le quali creiamo delle joint ventures per altri kit che poi vendiamo in Italia. Il nostro fiore all’occhiello è la ricerca nel drug delivery system, soprattutto nei prodotti transdermici e in quello che noi chiamiamo oral fast delivery. L’oral fast delivery rappresenta una sorta di evoluzione del concetto di introduzione del farmaco nel corpo umano per via transdermica: questa tecnologia, attraverso degli strip da mettere in bocca, permette immediatamente al principio di entrare in circolo. Siamo tra i pochi al mondo a sviluppare dei prodotti di questo tipo. Lavoriamo in collaborazione con aziende farmaceutiche: offriamo loro il servizio di sviluppo dei prodotti specifici di cui fanno richiesta oppure, in altre occasioni, sviluppiamo prima il prodotto e poi contattiamo le aziende farmaceutiche per immetterlo sul mercato. E’ un tipico B2B. In questo settore chiaramente lavoriamo anche con i dipartimenti di farmacologia delle università e di tecnica farmaceutica: abbiamo all’attivo delle collaborazioni con l’Università di Milano, di Parma e altri istituti ancora. Per quanto riguarda la diagnostica sono state implementati degli accordi con l’Università di Tor Vergata per lo sviluppo dei kit di genetica molecolare e con il San Raffaele a Milano.

Quali saranno i prodotti nelle singole divisioni di Bouty su cui scommettere nel futuro?

Personalmente scommetterei nel drug delivery system, nel cui sviluppo siamo leader, e stiamo sviluppando tutta una serie di prodotti che faranno fare un bel passo alla società. Purtroppo per i prodotti farmaceutici i tempi sono lunghi: dobbiamo fare pur sempre tutta una serie di prove cliniche, di stabilità e attività del farmaco che richiedono una lunga attesa. Nella diagnostica tra l’altro, abbiamo un progetto all’interno del quale stiamo sviluppando un sistema in collaborazione con un’azienda inglese che ci consentirà di fare un nuovo passo avanti nella meccanizzazione di determinati test: nel giro di un paio d’anni sarà pronta un’apparecchiatura in cui immettere anche fino a 50 test da elaborare. Nelle altre divisioni abbiamo nuovi prodotti consumer che sono, però, definibili più come rinnovamenti, ampliamenti di linea, mentre nel campo della cosmetica e dei devices stiamo sviluppando nuovi articoli. Rispetto ad altre aziende che operano su questo mercato, Bouty, che è stata fondata nel 1890, ha fatto registrare sviluppi abbastanza equilibrati con dei risultati economici positivi: la valutazione delle sue performance non è basata quindi solo sulle prospettive future come un’azienda in fase di start up. Inoltre abbiamo un pacchetto di espansione di prodotti che daranno un ottimo riscontro.

Quale medicina del futuro vorrebbe scoprire e perché?

Soprattutto nella parte consumer noi lavoriamo allo sviluppo di prodotti per le persone sane: quindi la nostra azienda non è tarata per lavorare alla ricerca del farmaco del futuro. Bouty rappresenta più una Società del benessere che non un’azienda farmaceutica.

Quali suggerimenti darebbe a FinanzaStraordinaria per rispondere in modo sempre più concreto alla sue esigenze di professionista, quali servizi non sono ancora stati sufficientemente sviluppati ma necessari?

Dal punto di vista di un imprenditore, e non di un professionista del settore M&A, è molto importante che vi sia una conoscenza delle aziende precisa e realistica. Come sito FinanzaStraordinaria dovrebbe essere attento alle novità delle aziende stesse, come gli sviluppi di prodotti nuovi, riportando degli annunci in modo da allargare le conoscenza sulle società che possano essere di interesse per altri operatori: una sezione news per target ben identificati.

L’ultima domanda vuole avere una veste spiritosa. Ci dia lo scoop da comunicare in anteprima ed esclusiva a FinanzaStraordinaria.

Abbiamo concluso lo sviluppo di un prodotto transdermico a base di piroxicam e nei prossimi mesi sarà depositata la domanda al Ministero della Sanità unitamente a quella per un prodotto a base di Ketoprofene di cui abbiamo da poco terminato le prove cliniche. Si tratta di sviluppi molto importanti per noi perché, anche se non porteranno vendite quest’anno, a causa delle tempistiche di accoglimento della domanda da parte del Ministero della Salute ed altri fattori, ci garantiranno EBITDA l’anno prossimo, quando entreranno in commercio.