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Domenica, 19 Settembre 2010 12:26

Intervista Walter Conca

Professor Valter Conca - Sda Bocconi Direttore presso Sda Bocconi della direzione Sviluppo e Risorse e docente senior presso l'area Finanza aziendale eValter_Conca_FILEminimizer immobiliare. E' inoltre Coordinatore dell'Osservatorio sulle strategie di creazione del valore e sulle operazioni M&A presso il centro Finindustria. E' Docente di Economia e gestione delle imprese e di Pianificazione strategica presso l'Istituto di Economia delle Aziende Industriali e Commerciali 'Giorgio Pivato'.

Quali elementi della struttura delle piccole e medie imprese italiane secondo lei sono positivi nell'ambito di un'operazione di M&A, quali invece sono ostativi?

La risposta può essere bidirezionale, dipende se siamo compratori o venditori. Se siamo compratori l'acquisizione ha senso quando apporta dei benefici e affinchè questo avvenga è fondamentale che sia in linea con il razionale strategico dell'impresa. Questo non sempre accade nelle piccole e medie imprese perchè spesso l’imprenditore si lascia ingolosire da un'opportunità che gli si presenta. Bisogna pertanto che all'interno dell'impresa sia molto chiara la motivazione dell'acquisizione. Il discorso cambia completamente se siamo venditori: le aziende si vendono quando sono molto redditizie o al contrario quando non lo sono. Nel primo caso l'azienda è efficiente, ben organizzata, produce buone performance e quindi non ci sono grossi ostacoli alla vendita. Nel secondo caso invece bisogna fare un distinguo. Il fatto che la società non abbia buone performance non vuol dire che manchino le condizioni per essere attrattiva; spesso sono presenti asset che hanno un certo valore ma che sono ad esempio mal utilizzati. In questo caso chi compra è interessato in particolare ad acquisire una parte di questa azienda che può essere una tecnologia, una gamma di prodotti, un segmento di mercato. Sotto questo profilo gli elementi di successo sono le condizioni che mancano a qualcun altro, sono aziende che apportano altre doti. Questo lo scenario fino a poco tempo fa, adesso con la crisi del credito il discorso è un po' cambiato.

Relativamente al periodo che stiamo vivendo che tipo di scenario si apre per le operazioni di M&A?

Si aprono due scenari: le piccole e medie imprese che possono autofinanziare le operazioni di M&A hanno dinanzi uno scenario che definirei molto positivo. L'autofinanziamento infatti dà la possibilità di comprare oggi e a prezzi molto competitivi. Chi non ha potenziale invece è oltretutto impossibilitato oggi a trovare una linea di debito, a maggior ragione se è una realtà piccola. C'è un altro problema che avremo da gestire nei prossimi 12 mesi: l'incapacità attuale degli imprenditori che vendono di allontanarsi da quelli che sono stati i multipli mediamente pagati fino all'altro ieri. Oggi il mercato è del compratore, non si può più pretendere di cedere ai multipli dei tempi scorsi.

Abbiamo affrontato spesso il problema del passaggio generazionale. Secondo lei quando un'operazione di M&A può garantire una buona riuscita del passaggio generazionale per una piccola e media impresa?

Credo che non ci sia nessuna preclusione perchè un'operazione di merger and acquisition possa essere lo strumento giusto per attuare un passaggio generazionale. Ne ho viste molte, anzi sono una soluzione ottimale per due ordini di motivi: talvolta dopo “n” anni ricompra l'azienda proprio la stessa famiglia che l'ha venduta, per cui può anche capitare che dopo l'ingresso di un fondo di Private Equity che cogestisce l'azienda con principi di massima trasparenza sia lo stesso imprenditore a ricomprarla. La seconda alternativa è che comunque rimanga alla famiglia una quota di minoranza ma ormai sostanzialmente la società è pilotata dal mercato (nel caso ad esempio di una quotazione). Le operazioni di M&A costituiscono uno strumento utile anche quando si affronta un replacement capital, ossia quando i fondi intervengono comprando quote di parte della famiglia e diventano il garante al di sopra delle parti, parti che in questo caso possono essere in conflitto tra loro (liti tra fratelli etc). L’unico interesse del fondo è che l'azienda vada bene e questo risolve tutte le varie diatribe famigliari in corso. L'alternativa all'operazione di M&A è vendere ad un compratore industriale concorrente, decisione spesso non facile perché sembra di tradire la propria radice imprenditoriale oltre che famigliare.

Se dovessimo fare una analisi delle realtà estere maggiormente interessate alle società italiane, quali paesi sono maggiormente interessati ad investire?

Osservando i dati dal 2005 ad Agosto 2008 possiamo notare come l'80% degli acquirenti siano europei. Nel 2008 tra gli acquirenti estere si registra un incremento tra gli investitori dell'est Europa e un decremento del nord America. Per cui si sta un po' spostando l'asse di investimento dai paesi ad economia forte americana ai paesi dell'est. Per quanto riguarda le dimensioni osserviamo che sono in aumento le acquisizioni di aziende medio grandi, in diminuzione le acquisizioni di aziende grandi.

Quali settori sono privilegiati?

Sempre in riferimento ai dati aggregati dal 2005 al 2008 eccelle l'ICT con l'85% delle operazioni, segue l'appliance and components, terzo posto machines and equipment. Esaminando questi dati si osserva che la maggior parte delle operazioni, circa il 70%, sono acquisizioni “related”, in cui l'acquirente opera nello stesso settore o in settore correlato. E' molto scarsa l'incidenza delle operazioni unrelated cioè le classiche diversificazioni.

Se lei dovesse dare un consiglio ad un imprenditore coraggioso?

E' molto difficile. Non c'è un settore di per sé attrattivo, salvo qualche caso isolato. In realtà vi sono delle “nicchie” all'interno di alcuni settori. Per esempio il settore del wellness sta avendo buoni risultati ma non è automatico affermare che sia un settore in cui puntare per acquisizioni.

Secondo lei, vista l'attuale situazione macroeconomica dei mercati, questo è il momento di alleggerire la propria presenza in azienda?

Attualmente il mercato è del “compratore”, un imprenditore oggi ha meno interesse a vendere e più interesse. Ovviamente se una società va bene, opera in una nicchia e si accontenta di incassare prezzi “normali”. Fino a ieri il mercato era del venditore, oggi no. Fino a ieri i fondi di PE compravano a mani basse e a prezzi troppo spesso fuori mercato. Non le sembra un controsenso che i fondi di Private Equity che fino al primo semestre 2008 hanno realizzato numerose operazioni oggi siano in stand-by nonostante per loro natura non dovrebbero essere influenzati dagli andamenti di mercato ma dai fondamentali dell’azienda? Si fino a un certo punto. Nel senso che il fondo quando compra lo fa sapendo bene quale sia la way out. Attualmente visto che la Borsa non rappresenta più questa via d’uscita, di fatto si preclude una delle alternative possibili e questo condiziona evidentemente l'operatività. Anche se quando parliamo di way out ci riferiamo ad un periodo di tempo abbastanza lungo per i fondi di Private Equity. Assolutamente sì, tant'è che dai nostri studi emerge che la way out dall'anno scorso a questo anno stia salendo a 4 anni; quando la misureremo l'anno prossimo è probabile che ci sia un ulteriore slittamento. Questo vuol dire che in pancia ai fondi permane la partecipazione per più tempo proprio per questa difficoltà di uscita. Difficoltà che peraltro è duplice attualmente perchè manca la way out della Borsa e contemporaneamente anche quella di rivendere a certi prezzi. Il fondo fa arbitraggio su due leve: sul multiplo e sul valore dell'ebitda. Il rischio oggi è di rivendere ad un multiplo vicino al multiplo di entrata, diminuendo fortemente il rendimento dell’operazione. Quindi a livello attuale i fondi che avrebbero già preventivato una wayout a breve si trovano a dover rivedere la loro pianificazione.

Non hanno alternative?

Per forza, o si accontentano di rendimenti bassi o devono attendere che il mercato riparta. Se la società è sana in genere il compratore lo si può trovare ma i fondi si devono un po' accontentare. Attualmente i soldi per le operazioni di M&A non arrivano dalle banche che hanno “tirato i cordoni”.

Ma un imprenditore coraggioso dove potrebbe trovare un finanziamento alternativo?

Non c'è. Gli unici che hanno tanti soldi oggi sono i fondi sovrani ma stiamo parlando di un accesso che è concesso a big companies società quotate, pertanto stiamo parlando di operazioni di un certo rilievo. E' molto difficile che questi fondi siano interessati a società di piccole dimensioni. In questo momento non si trovano alternative: o autofinanziamento o debito. Si può pensare a disinvestire alcune attività, alcuni impieghi fatti dall'imprenditore e dalla famiglia in ambito immobiliare o in altri asset: esco dall'econoia finanziaria ed entro nell'economia reale in azienda in modo da autofinanziarmi per poter realizzare un'acquisizione. Vuol dire riallocare il mix dei propri impieghi famigliari secondo criteri diversi.

Le sue previsioni per gli sviluppi del M&A per il mercato italiano?

Sicuramente ci sarà ancora un numero interessante di operazioni. Il mercato non è ancora crollato sotto questo profilo sia nel M&A che nel PE. In questo ultimo sta tenendo il numero delle operazioni, nel M&A fino ad ottobre i risultati sono stati buoni, poi si è registrato un calo un po' brusco. La grande crisi si vede invece nei valori, che sono calati del 50% perchè manca il debito che finanzia le acquisizioni con enterprise value elevato. Pertanto ci sarà maggior competizione sui piccoli deal e una maggior difficoltà e una scrematura del mercato da parte di merchant bank e fondi che per loro natura sono sempre stati abituati a chiudere 1-2 operazioni di entità rilevante piuttosto che 7-8 più piccole. E questo è un problema.

Lei ha scritto un articolo dal titolo “Se la mergermania raggiunge le PMI...è ora di network” che mi ha colpito ed incuriosito dato che anche finanzastraordinaria.it fa del network il suo elemento principe. Mi vuole spiegare di cosa si tratta?

E' un articolo del 2001 nato da un forum e legato ad un progetto analogo al vostro sito. Il problema di fare incontrare la domanda con l’offerta di opportunità presenti sul mercato è certamente rilevante e trovare una soluzione che agevoli l’incontro era il nostro obiettivo.

Visto che una parte della sua iniziativa è molto vicina ai presupposti su cui si fonda www.finanzastraordinaria.it le chiedo un consiglio per essere sempre più vicini alle esigenze dei professionisti del corporate finance.

Perseverare. L’idea è ancora oggi validissima e corretta. Il vero problema è trovare un adeguato finanziamento e gestire con molta accuratezza il sito evitando di proporre operazioni “non fattibili”; in questo senso la mancanza di un mandato preclude normalmente la fattibilità di una proposta proveniente da professionisti terzi.

Domenica, 19 Settembre 2010 12:38

Intervista Stefano Saccardi

Stefano Saccardi - Officer legal affairs and business development Stefano Saccardi è nato a Milano il 12 maggio 1959. Laureato in Giurisprudenza, faStefano_Saccardi parte del Gruppo dal 1985, ricoprendo vari incarichi nell'area legale, societaria e di public affairs. Dal 1999 ha assunto il ruolo di Officer Legal Affairs e dal 2001 ha assunto anche la responsabilità di Business Development.

 “I joined Campari 23 years ago and for the first nine years I was the typical in –house counsel in a very conservative Italian Company.

At that time acquisitions were not in our strategy and our only brands were Campari and Campari Soda (a pre-mix based on Campari). Then, there was a generational change that led to a change in strategy. For me personally but for the whole company, the change was quite abrupt. I recall one particular day, in 1994, when I was first invited to attend a crowded M&A meeting discussing a large transaction, with lawyers and advisors who all used the typical M&A jargon that had a precise meaning for everybody but me. When the meeting was over, I rushed to a bookshop specialised in legal and financial publications and I asked the shopkeeper:

“Please, give anything you have about M&A!”. I then got a thick manual that I swallowed as if it was on the bestseller list. That was my “formal” training in M&A, which however was followed by a lot of in-the-field training. Since we started the acquisition trail, net sales have increased from € 150 million to approx. € 1 billion and profitability has increased more than proportionally: that kind of a jump in a mature industry can’t be achieved without external growth, without acquisitions, because even if you make your brand grow, you cannot achieve this kind of growth in the spirits and the wine industry without adding new brands to your portfolio. In fact, all our business is about brands.

Understanding a brand and consumer is the key to success: what do they want, what does the brand mean to them, how to reach them, how to really fulfil their expectations, etc. In a few words, understanding is the most important skill and you can achieve that not only from numbers of the reports, but you have to go out and understand what people want and what their feeling is. It’s not the technological industry where a product can disappear because of the fast innovation: in wine and spirits industry you have a certain trend and you have to improve those brands, but it is fairly simple.

So, having a nose for brands is the main skill that is required for successfully executing an external growth strategy in our industry. After having talked about me and the company, let’s talk about M&A. Today acquisition transactions are done all over the world: from China to Italy to America, the hardware for a M&A deal is always the same, with the usual steps (confidentiality agreement, information memorandum, due diligence, etc.).

I’ll be focused on the software you use with it, which is represented by the personal factor that is crucial to make deals. You are always facing very different counterparts. I can think about my experience and I come to the conclusion that whoever is your counterpart, people always have goals. Generally when you make a deal you spend a lot of time in setting down and being sure that what you are doing makes sense from your perspective. But at the same time it’s very important to ask yourself why is the counterpart selling and what do they want. You would assume that the answer to the second question is very simple: money. Of course money plays a role, but it’s not the only objective and it’s not only driver. Sometimes money is an obstacle to close a deal: just image to be the member of a family who has owned the business over more than one generation.

You may think “Maybe I should sell the business because they are offering me an enormous amount of money”. But sometimes the reason they decide not to sell is that they don’t know what to do with the money they get. And looking at recent performances of the financial markets, you might actually agree that keeping the money invested in a family business might be safer than selling it and be exposed to the fluctuations of the market. Going back to our topic, certainly you must understand what the driver for the sellers is and you have to try to accommodate their face saving needs or their willingness to continue to play a role in a certain community: you have to offer a kind of structure which meets their requirements.

The reason why a seller wants to sell is very important to investigate. Sometimes they tell you straight away, but sometimes it’s more difficult because if there is no convincing explanation for which a person wants to sell, then you should start having doubts. For instance, you are often confronted with the so-called “hockey stick” where the past performances of the business are bad, but the sellers present you with a business plan for the following five years that goes the opposite way: if that is true, why should a person decide to sell a business at the lowest point of its performance? In these cases, the true reason for selling is the bad performance and there is no real expectation that the situation might improve. Once you have understood why the sellers want to sell and what they want to achieve, you can start to discuss with the counterparts and this is a very interesting part of an M&A.

The typical mistake in this phase is to be overly confident and arrogant when you speak to an entrepreneur: you have to understand the counterpart and not being overly aggressive with that, that implies a lot of patience because there are emotional issues attached to it. You have to convince them that selling is the best solution for them for that business. But if you are too optimistic regarding the potential of the business once you own it, the potential seller may claim more money to sell his activity. It can be easier for big corporations, but surprisingly, even if you make a deal with a large corporation, managers also have their individual objectives.

Let me give you an example from my experience with one particular transaction. The people in the selling team had been working for one year really very hard on a much bigger transaction and our deal was really the last piece of the job: they were really tired and Christmas was approaching and the fact was that they wanted have it done before Christmas, after a really tough year. So we could really do a good deal because everybody wanted to do it: they were very good at negotiating, but it was very quick. Of course it’s even more complex why you do deal in Eastern Europe where the culture and the way to understand the how they think becomes even more difficult and to get the same understanding becomes quite complicated. You need to do a sort of background work to understand mentality of people of certain countries, as it’s very easy to pass the wrong message. For instance, if you go to Russia you must realize that most businessmen have not even the basic knowledge of financials because they are fully driven by cash flow.

The last, but not least, factor that you have to consider in an M&A is that you have really to be passionate in what you do and to be fully committed: then, it becomes you can be very successful in the transaction. I think that the Campari story shows how a “normal” company with strong passion can achieve a lot. Then Stefano Saccardi continues the lesson, answering the students’ questions, and asking them which their perception of the brand is: for most of them Campari represents the Italian lifestyle wherever you buy it all over the world.

He points out that of course you must have a financial knowledge, but the evaluation the spirits industry are based on multiples, on EBITDA, on performance of product: actually it’s not so complex. He would say that the financial part is less sophisticated than in other industries, such as telecommunication, because the market is more stable and technological innovations doesn’t play a role. The spirits industry has a low CAPEX, so you don’t have to invest in tangible assets, but rather in intangible assets. In Campari’s opinion, there are 3 general types of purposes for brands to do an acquisition. The first one is to buy local brands in order to acquire a platform in a given market. This is what they are trying to in Eastern Europe buying local products and local in distributing products.

The second one is achieving synergies, even paying a large amount of money the acquisition. The third one is represented by niche brands that offer an environment where nobody can really challenge you: for instance Campari itself is particular – you can like or not – but it’s distinctive. Niche brands are very interesting to be acquired for Campari.

Social responsibility is another important point: when alcohol creates problems is certainly a bad image for the industry and Campari absolutely encourages responsible drinkers to have fun, but it’s a different story when it becomes an excess. Saccardi thinks that enforcement should be more consistent: the problem in Italy is that there are a lot of rules, but the penalties becomes really absurd and so, in many cases, they are not applied.

Domenica, 19 Settembre 2010 14:24

Intervista Enrico Minoli

Enrico_Minoli_FILEminimizerSposato, cinque figli , è nato a Torino nel '48. Il padre Eugenio era un illustre avvocato internazionale e professore universitario. Cresce in una numerosa famiglia composta da sei fratelli ed una sorella. Tra questi, Giovanni, il noto "televisionista" padre di Mixer. Dopo essere diventato giornalista affermato si reca in America per approfondire gli studi di banking. All'inizio degli anni '80 fonda la "M&A" prima società italiana non facente riferimento a gruppi bancari, specializzata nel "Merger& Acquisition". La società viene acquisita dalla attuale UBS divenendo la seconda merchant bank per volume d’affari. Minoli che nel frattempo è divenuto AD del gruppo lascia e decide di dedicarsi al settore immobiliare in America. Dal 2005 è autore di romanzi di successo editi da Cairo edizioni: Trappola a New York (2006): la storia umana e professionale di Michele, affermato protagonista della finanza che si lancia in un progetto immobiliare in America. Ma si tratta davvero dell’affare di una vita o si nasconde un pericolo imminente? L’amore forse può essere la chiave di volta. Il segreto di Tarzan il greco (2007): quattro uomini, quattro sogni, quattro vite che si incrociano tra il mare epico della Grecia, i grattacieli americani, i paesaggi esotici. Tarzan il pescatore imprenditore coraggioso, Francesco merchant bank italiano innamorato della storia greca, Jani pastore eterno sconfitto legato e soffocato dalla sua terra, Elias il giovane diviso tra l’affetto per Jani e l’istinto di emulazione di Tarzan. E tra di loro un segreto, che non può durare ancora a lungo ma destinato a sconvolgere gli equilibri. Per ricrearne di nuovi.

Come mai ha affidato la trama dei suoi romanzi a elementi così dichiaratamente autobiografici? Da cosa nasce il suo bisogno di “esporsi” e raccontare delle storie?

Ho cercato di inventare un soggetto nuovo: nei romanzi ci sono gli ispettori di polizia, i carabinieri, i preti, gli avvocati e così via. Ho inventato il personaggio “uomo della finanza”  che interviene in differenti situazioni, in diverse vicende della vita che lo portano in giro per il mondo, nelle situazioni più disparate. E’ cittadino del mondo. Ovviamente, avendo un background professionale di ambito finanziario, mi sono ispirato a esperienze personali e dirette. Questo traspare molto nel primo libro [Trappola a New York n.d.r.], come spesso capita a molti scrittori, che è molto più autobiografico. Nel secondo di autobiografico c’e’ il contesto in cui vivo, tutto il resto è fantasia.

Il protagonista dell’ultimo romanzo, Francesco, ha raggiunto una buona qualità della vita. Non vivendo per il lavoro ma lavorando con intelligenza per plasmarlo alle proprie priorità. Lei cosa considera essenziale per una buona qualità della vita? Riuscire a conquistare una buona qualità della vita è una aspirazione sicuramente importante. Senza dubbio credo che bisogna lavorare per vivere e non viceversa vivere per lavorare. Nel secondo caso la qualità della vita sarebbe certamente bassa. E’ importante cercare di concentrarsi su tante altre cose che portino felicità e realizzazione alla nostra vita. 3. Come vede il mondo della finanza?

E’ un mondo dove ho vissuto per tanti anni, un mondo molto interessante che dà delle grandi opportunità di conoscenza di situazioni diverse e che può dare certamente delle grandi gratificazioni economiche. Però per certi versi qualche volta è un mondo un po’ arido. Bisogna essere capaci di staccarsi un pochino da quella realtà e cercare di approfondire altre situazioni. Non per niente tanti uomini della finanza sono filantropi, musicisti, collezionisti d’arte, hanno bisogno di altre fonti di arricchimento culturale.

Quale percorso dovrebbe fare un giovane oggi che volesse intraprendere la carriera nell’ambito finanziario per esempio all’interno di una grande banca d’affari?

Un giovane dovrebbe sicuramente svolgere un tirocinio di almeno 3-4 anni presso una grande società di consulenza aziendale, tipo Boston Consulting Group o le grandi case specializzate: perché permettono di conoscere dall’interno le realtà aziendali e compiere dei salti importanti professionalmente. E’ altresì necessario avere l’umiltà di conoscere e imparare tutti gli elementi della finanza e fare poi tirocinio in una grande banca d’affari.

Lei e’ giornalista, scrittore e professionista finanziario. In tutti i casi di successo. Di quale Enrico non potrebbe veramente fare a meno? 

Attualmente dello scrittore. Anche se non avrei potuto farlo senza l’esperienza di uomo di finanza. Mentre nel mondo della finanza si può avere discreto successo e cavarsela egregiamente dal punto di vista economico, dal punto di vista letterario per poter “sbarcare il lunario” con la scrittura bisogna avere molto, molto successo. Questo è un peccato perché la qualità intellettuale che si mette in campo nel mondo della letteratura è certamente superiore a quella del mondo della finanza.

Quali caratteristiche del lavoro di scrittore / giornalista le sono state di aiuto nella professione finanziaria?

Quando sono entrato nel mondo della finanza non ero ancora scrittore. All’epoca la capacità di analisi che mi era derivata dal mio background di giornalista è stata fondamentale. Lavoravo nel Merger & Acquisition settore in cui capire la psicologia delle persone che hai di fronte, saperle leggere e saperle interpretare è una qualità fondamentale. Qualità che ho sviluppato molto come giornalista. 8. L’amicizia moderna. I due protagonisti Jani e Tarzan hanno un terribile segreto a dividerli e nello stesso tempo unirli. Ma esiste la vera amicizia nel business? La vera amicizia nel business sicuramente esiste. La particolare amicizia di Jani e Tarzan descritta nel libro è una amicizia giovanile che non matura mai. Il loro grande problema è che sono uniti da un segreto e divisi da un percorso di vita completamente differente che non li colloca più sullo stesso piano. E’ quello che succede spesso tra i giovani che sono compagni di scuola, di università, compagni di squadra nello sport ma quando crescono, entrano nella vita magari non si incontrano più, ci si perde per divergenza di interessi e capacità.

Tarzan è il vero imprenditore, lei scrive: “continuava a fare progetti, a sognare di espandere la società (…). Per lui la parola non esisteva.” Dalla sua esperienza, se è possibile definirli, quali sono i “limiti” del limite, i segnali che determinano quando fermarsi?

Se uno sapesse quali sono i limiti del limite avrebbe trovato il Santo Graal. Il vero imprenditore ha come grande problema l’incapacità profonda di conoscere il limite, si butta sempre oltre l’ostacolo con coraggio. Con il rischio di perdere la sfida. Quegli imprenditori che sono capaci di vedere il limite hanno istantaneamente meno successo ma riescono a incrementarlo di più nel lungo termine.

Jani e Tarzan: lo sguardo verso il passato, lo sguardo verso il futuro. Lei dove sta guardando adesso?

Il futuro. Anche se in questo libro in particolare che si rifà alla cultura greca, al senso del fato, alla tragedia greca, il passato è imprescindibile sia per quello che determina nella storia plasmando il futuro dei personaggi sia perché lascia delle tracce indelebili che marchiano e che segnano gli eventi.

Nel suo libro Tarzan dice che dopo aver fatto la sua scelta giusta per il futuro prova una sensazione strana nei confronti del mare “eravamo lui e io, soli. (…) Era un rapporto intenso e fisico” ma che ora sentiva di averlo tradito e non contraccambiato. L’uomo deve sempre tradire qualcosa per progredire?

E’ grande e profonda la considerazione di Tarzan, un uomo che prendeva la vita dal mare, dava e riceveva dal mare, aveva con lui uno scontro incontro alla pari, lo doveva combattere quando era in tempesta senza mai tradirlo. Successivamente, con lo sviluppo della attività imprenditoriale turistica, Tarzan sente di fare una violenza totale nei confronti del mare, di prendere tutto e non dare nulla L’uomo ha un debito pazzesco con la natura per qualsiasi cosa faccia nel mondo, anche negli affari. Forse adesso con la conversione industriale verde questo credito diventa minore e la violenza verso la natura meno profonda. Ma fino ad adesso c’e’ uno sbilanciamento a sfavore dell’uomo.

Elias sogna di andare dappertutto, non gli importa se sarà alle dipendenze di qualcuno e forse un giorno camminerà con le sue gambe. Per i giovani di fresca passione, esistono dei mentori per guidare la loro irruenza verso il successo? Per lei come è stato all’inizio?

Le persone che trovano dei mentori sono molto fortunate. Io avevo un grande e meraviglioso maestro: mio padre. Purtroppo è mancato quando ero molto giovane e questa è la più grande mancanza e credito nei confronti della mia vita. Mio fratello Giovanni è un meraviglioso maestro per tutti coloro che lavorano nel settore televisivo, devo dire che sono molto fortunati quelli che collaborano con lui.

La statua di Giasone e gli argonauti campeggia nella piazza. Un’eco di mitologia inevitabile dato il contesto greco e pregnante per il senso della storia. Quale Vello d’oro vale la pena di cercare oggi?

Il mito dell’oro ha spinto a combattere verso l’impossibile, un fatto epico legato al desiderio di conquistare il cuore di Pella ma anche una prova di successo economico per impossessarsi di un vello d’oro, di valore. Oggi bisognerebbe conquistare il vello d’oro dell’equilibrio tra lo sviluppo economico e il mantenimento decoroso ambientale del nostro pianeta. Cito una frase di cui condivido il senso profondo: noi non stiamo vivendo nel mondo che ci hanno lasciato i nostri genitori ma stiamo vivendo nel mondo che i nostri figli ci hanno prestato. Dobbiamo fare molta attenzione a quello che faremo nel futuro e a quello che vogliamo lasciare ai nostri figli. Abbiamo una responsabilità pazzesca, siamo in prestito qui e se non ci diamo da fare per coniugare economia ed ecologia siamo rovinati.

Lei ha fatto molte scelte coraggiose, convivendo con il rischio, con il successo e anche con qualche delusione. Quale esperienza nella vita l’ha segnata più profondamente?

E’ tutto scritto in Trappola a New York.

Francesco e’ l’uomo in bilico tra il bisogno di certezze e le passioni. Chi vince?

Le passioni, Athanassia, la sinfonia. [personaggio femminile del libro Il segreto di Tarzan il greco n.d.r.]

Francesco, un romanzo e una vita scritti tra i fasti dell’antica Grecia di un semplice villaggio e tra una America motore di affari ferita al cuore. Quale insegnamento si porta dietro dell’una e dell’altra?

Il primo insegnamento è che il successo può esserci dovunque. Non a caso c’e’ un parallelo tra l’uomo Francesco che è cittadino del mondo e Tarzan, l’uomo legato disperatamente al suo villaggio da cui vorrebbe fuggire e infine Jani che non ha alcuna possibilità di liberarsi della sua terra. L’importante è crederci, non porsi limiti e andare sempre avanti.

La finanza è intrisa così significativamente di elementi emozionali come traspare dai suoi romanzi o è la sua personale ricerca che tende a valorizzarli?

E’ frutto della mia personale ricerca. La finanza spesso è arida ma una persona può riuscire a renderla intensa solo trasferendo tutta la sua umanità dentro. Nel libro la finanza è stata il mezzo per realizzare due uomini in un modo completo, non era finalizzata a se stessa.

Enrico Minoli guarda Enrico Minoli: la sua città, i suoi luoghi, i suoi personaggi

Sono cittadino del mondo. Mi sento molto legato ai posti dove ho vissuto Torino, Roma, Milano, Ginevra, Parigi, New York. Per lavoro ho viaggiato parecchio passando 4 mesi in Brasile, 2 in Australia e così via. Mi sento cittadino del mondo: una volta che vado in un posto lo sento famigliare, mi appartiene. Anche se un luogo sugli altri esiste: Francesco, tra parentesi Enrico, la sensazione che ha provato a Delfi non l’ha mai provata in nessun altro posto. E questa è la cosa più personale, autobiografica che traspare nel libro.

Domenica, 19 Settembre 2010 16:05

Intervista Vito Gioia

Vito_Gioia1In occasione dell’incontro mensile de Il Cenacolo Finanziario nel cuore di Milano, abbiamo incontrato il suo fondatore e Presidente, Dottor Vito Gioia. Dottor Gioia, come nasce l’idea del Cenacolo Finanziario?

L'idea del Cenacolo "milanese" nasce dall'esperienza "romana" del Club Canova creato trent'anni fa da "4 amici al Bar... Canova" di Piazza del Popolo a Roma, professionisti Italiani di Banche estere. Il Club Canova è tuttora attivissimo a Roma e ogni suo evento conta anche 200-300 partecipanti. Mentre il Cenacolo finanziario volutamente accoglie al massimo 25-30 partecipanti per dar loro modo di stare seduti allo stesso tavolo ovale insieme al personaggio ospite di turno.

Relativamente alla scelta del nome: Cenacolo Finanziario, un nome che evoca visioni leonardesche ispirate al progresso nell’economia e nella cultura. Volete condividerne il ruolo propulsivo e in che maniera?

“Il Cenacolo è incontro. Un incontro voluto per fare cultura, per affrontare tematiche finanziarie, economiche, etiche. Un momento di crescita e di confronto tra i suoi partecipanti. L’impulso vitale è proprio il confronto soprattutto mediante la presentazione della testimonianza umana e professionale di ospiti di grande rilievo e spessore che dà vita ad un dibattito su temi sempre diversi.”

Il Cenacolo quindi, mutuando l’esempio di una tradizione antica desidera promuovere lo scambio culturale tra professionisti affermati nel mondo della finanza e lo fa in modo elegante e al tempo stesso molto accogliente. Una tavola rotonda in cui si dialoga e ci si ascolta, in cui generare e far crescere la cultura. Dottor Gioia, lei vanta un’esperienza professionale internazionale e di grande rilievo, ricordiamo per esempio Price Waterhouse, PWC tra le altre, per poi dedicarsi totalmente al settore head hunting con ASA, di cui è Amministratore Delegato.

Lei sostiene da sempre: “siano le persone a fare i numeri”. Come motivare le persone a dare sempre il meglio?

“Sono veramente le persone a fare i numeri. Le aziende sono le persone che vi lavorano. Non si può negare l’importanza dell’aspetto economico come leva motivante. Ma questo è vero solo nei primi anni di attività professionale. Bisogna creare altre condizioni perché ciascuno sia sempre motivato e realizzato: progetti coinvolgenti e intriganti da parte dell’azienda, un azionariato serio, un’immagine di prestigio. Bisogna insomma rifarsi sempre ad una sana logica industriale tipica dell’Italia che funziona.”

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