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Interviste (37)

Giovedì, 16 Settembre 2010 00:08

Intervista a Stefano d'Anna

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Professor Stefano D'Anna - Rettore European School of Economics - ESE Economista, sociologo, Stefano D’Anna è un sognatore pragmatico, un filosofo d’azione che assomma in sé in modo singolare la figura di accademico ed imprenditore, di pedagogo e di uomo d’affari. Scrittore e conferenziere internazionale, vive in Toscana e lavora tra Londra, New York e Milano. Dal 1994 è Rettore della ESE – College britannico, alta Scuola di Economia e Finanza con Atenei a Londra, New York e tre Campus in Italia

Come rappresenta la filosofia della scuola?

La parola educazione trova il proprio etimo in “ex duco” che significa “guidare, condurre fuori” piuttosto che aggiungere nozioni e contenuti: questaStefano_Anna comprensione rovescia l’ordinario modo di intendere la formazione e il suo approccio. Estrarre quindi, eliminare…ma che cosa? E’ qui che si incentra la riflessione della ESE – The European School of Economics e insieme la sua missione: educare significa togliere pregiudizi ei vincoli, significa sradicare il provincialismo e ogni condizione limitante delle capacità della persona. L’ambiente psicologico che la scuola è solita offrire è che lo studente stia lì per conseguire un titolo, per assicurarsi una specie di passaporto che gli permetta di inserirsi nel mondo del lavoro, per avviare la sua carriera. L’educazione superiore, e lo studio in generale, ancora si fonda su una concezione aristotelica. Una logica che da secoli imperversa nelle scuole e nelle università di tutto il mondo e che ha creato conformismo, ha irreggimentato la mente dei giovani tarpandone la fantasia, lo slancio vitale, la ricerca della propria unicità. Ha inoltre allontanato inimmaginabilmente le scuole e gli atenei dal mondo dell’azione. Nell’abbattimento dello steccato tra sapere e saper fare, tra mondo accademico e impresa, la ESE è stata un precursore affrontando passi pionieristici. Innanzitutto ha stretto alleanza con le grandi imprese del mondo e ridotto la preponderanza quasi assoluta dello studio teorico in senso tradizionale contenendolo entro un 50% del totale del tempo e delle risorse. L’altro 50% è dedicato al lavoro sul campo, agli stage in azienda. l’In-Company Training Program della ESE, il programma di stage per i suoi studenti, è tra i più completi d’Europa con oltre mille imprese leader che collaborano per assicurare agli studenti ESE in più riprese, in Italia e all’estero, lunghi periodi di internship nei settori avanzati del Business internazionale.

Visibilia ex invisibilibus è il “pay off” della ESE: qual è il significato che lei attribuisce a quest’affermazione?

Il visibile, tutto ciò che vediamo e tocchiamo, è un prodotto dell’invisibile, una proiezione dell’essere di un uomo, di un individuo. La vita è come tu la sogni. Per questo accanto all’impegno teorico, teso all’eccellenza accademica, e all’azione sul campo, rivolta a creare le abilità pratiche, c’è poi un lavoro che attinge direttamente alle radici socratiche dell’università e al concetto stesso della sua missione: insegnare ai giovani l’arte di conoscersi, di scoprire se stessi per diventare padroni della propria vita. Non c’è nient’altro che sia più importante. Il lavoro sull’aspetto psicologico e delle attitudini, l’approfondimento della conoscenza delle qualità e capacità di ogni individuo, è quello che le università non fanno, o meglio, è quello che hanno ormai dimenticato e che pure è la loro vera raison d’etre. In ESE questo lavoro punta a capire che cosa ogni studente è nato per fare, e costantemente lo sospinge a fare quello che veramente ama e alla scoperta della propria unicità.

Quella che la ESE propone è quindi la formula dell’università del futuro…

All’opposto. Paradossalmente si potrebbe dire che la visione pedagogica della ESE è la proposta di un ritorno alle radici. Essa nasce dalla realizzazione che, a dispetto del progresso scientifico e materiale, l’educazione superiore è regredita rispetto al meraviglioso progetto dell’Accademia, del “sogno” di Platone. Quel modello di scuola, quegli istituti di educazione superiore che molto più tardi, nel medioevo, si sarebbero poi chiamati università, erano scuole di pensiero, nascevano intorno a un maestro, presupponevano la sua vicinanza con i discepoli; sorgevano in luoghi incantevoli scelti per la magia della loro storia; erano poste sempre vicino a fiumi e a fonti d’acqua. Non a caso l’Accademia si trovava in prossimità del Cefiso, il Liceo, ad est di Atene, era lambito dalle acque dell’Eridano e il Cinosarge, a sud della città, dove insegnò il cinico Antistene, era vicino all’Ilisso. L’acqua, oltre che simbolo di vita e di conoscenza, serviva per le abluzioni. In queste scuole la cultura del corpo e dello spirito erano i due profili della stessa realtà, indivisibile. La European School of Economics mette insieme questi tre elementi: lo studio teorico, che deve essere, il va sans dire, un elemento di eccellenza, il pragmatismo, che significa dare finalmente un peso adeguato alla preparazione pratica e, infine, ma non ultimo, lo sviluppo della persona: una preparazione psicologica alla leadership che riguarda in primo luogo il governo di se stessi e poi l’assunzione della responsabilità di guidare gli altri. Tutto questo in un ambiente multiculturale, di grande internazionalità, in una struttura multicampus, con Atenei aperti nelle capitali del mondo, dove gli studenti provengono da oltre settanta diverse nazionalità.

Nel Suo Libro “la Scuola degli Dei”, un best-seller internazionale, ricorrono spesso concetti legati alla crescita della responsabilità come: “niente è esterno” o “il mondo è così perché tu sei così”. Quali sono i passi decisivi per innalzare la responsabilità nell’individuo, come può una scuola arrivare a questo risultato?

“Nothing is external” o “The world is such because you are such” sono la moderna trasposizione di quell’apice dell’intelligenza umana magistralmente compresso nell’aforisma cristiano “mea culpa”. Essa è la formulazione più sintentica della responsailità mai enunciata nella storia dell’uomo. Questa visione è tradotta in termini comprensibili ai ragazzi d’oggi in: nothing is external, niente proviene dall’esterno. Forte e profonda in una scuola per leader deve essere la convinzione che qualsiasi evento o circostanza esterna della nostra vita è soltanto il riflesso della nostra psicologia, della nostra attitudine. Il mondo è lo specchio di Narciso, un riflesso dell’essere. Su questo crinale le tradizioni filosofiche e le religioni del mondo si dividono tra quelle che mettono Dio fuori di noi e quelle che lo collocano dentro di noi. Le prime danno rilevanza a un mondo esterno su cui l’uomo può influire ben poco e da cui sostanzialmente dipende. C’è un dio esterno dalla cui imperscrutabile volontà tutto origina, un essere inconoscibile al quale bisogna rivolgere preghiere e offrire riti propiziatori sperando nella sua benevolenza. Questa fisolosofia si potrebbe ironicamente, e amaramente, riassumere nella rassegnata e tragicomica espressione: speriamo che io me la cavo. Le seconde vedono il Creatore al nostro servizio e credono che la scintilla divina, e soprattutto la capacità di determinare il proprio destino, sia dentro di noi.

E’ la concezione romana dell’Homo Faber Fortunae Suae?

Si. Ogni costruzione sociale forte e longeva è stata fondata sulla consapevolezza/certezza che tutto dipende da noi. Non è eccessivo affermare che su questa locuzione è stato costruito l’impero romano. Accettare la responsabilità che questa concezione comporta significa realizzare veramente quanto ogni individuo sia libero di scegliere cosa gli accadrà. Questa linea di pensiero, e la forza morale che ne deriva, arriva fino alla visione del Dreamer, riportata nel mio Libro: La Scuola degli Dei, che è in realtà una mappa, un piano di fuga per evadere dal carcere psicologico in cui l’uomo ha imprigionato se stesso. E’ il manifesto di una rivoluzione, la rivoluzione dell’individuo che non accetta più la vecchiaia, la malattia e la morte come suo destino ineluttabile. Una vera università è innanzitutto una scuola dell’essere che pone le cruciali questioni su chi siamo, come siamo; una scuola che propone un lavoro in profondità sui nostri stati, sulle attitudini e modi di pensare, sulle nostre emozioni, immaginazioni, reazioni. E’ questo lavoro sull’essere che la ESE mette al cuore del suo progetto pedagogico considerandolo parte fondamentale di un’educazione completa capace di nutrire la mente ma anche nuovi sensi come la creatività, l’intuizione, ed un settimo senso, il sogno. Ritornando alla Sua domanda, se ci sono “passi” decisivi sul cammino verso più alti livelli di responsabilità, rispondo di no. Individuare tappe implica il concetto di tempo. In realtà il lavoro sull’essere non è un processo nel tempo, ma un viaggio da condurre dentro noi stessi, nell’essere. dove il tempo non esiste. Il territorio del fare è solo qui, nell’immensità, nell’infinità di questo istante.

Il miglior momento per un lavoro sull’essere è quindi adesso. Come Lei scrive: la capacità di un leader è vivere nel presente senza essere intrappolato nel ricordo del passato o nell’immaginazione del futuro. Una vera sfida: è davvero possibile riuscirci? Qual è il primo passo da fare per andare verso questa direzione di timelessness, in assenza di piani e programmi?

Tutti abbiamo gustato l’eternità. E’ stato quando, apparentemente per nove mesi, ma in realtà per un tempo infinito, siamo stati esseri acquatici, sospesi nel tiepido liquido del sacco amniotico. Dentro di noi c’è ancora viva la conoscenza di un mondo senza tempo dove non esiste contrapposizione tra esterno ed interno o qualsiasi altra contrapposizione o divisione. Eliminata la cortina fumogena del tempo possiamo realizzare come le idee che in noi sono vive ed in cui crediamo, in realtà sono già la nostra realtà. Il tempo è come una vernice che permettere di rendere visibile ciò che in noi è già accaduto. Così per esempio quando fu realizzato il grande parco di Disney World ad Orlando, voluto da Walt Disney e completato quando era da poco scomparso, all’affermazione malinconica di un giornalista “Se suo padre avesse potuto vedere…! ”, la figlia rispose “Se mio padre non l’avesse già visto tutto questo adesso non ci sarebbe”.

L’integrità e la trasparenza sono temi centrali che dovrebbero guidare il business. Come portarli avanti concretamente?

L’integrità viene spesso confusa con l’integrità morale: nella filosofia della ESE si tratta invece di due concetti ben distinti. L’integrità di un leader va intesa come completezza interiore, unità dell’essere. E’ la condizione psicologica di un individuo che ha saputo superare una logica conflittuale, eliminare ogni lotta interna, ogni divisione, contraddizione. Questa completezza o integrità si mostra evidente in alcune features psicologiche della leadership come la capacità di credere in se stessi, di prendere decisioni cruciali senza esitazioni o dubbi paralizzanti, di non essere vittima di paure o preda di immaginazioni negative. Il Cristianesimo primitivo ha chiamato fede la qualità esclusiva di quegli uomini speciali capaci credere prima di vedere, la loro forza capace di dare concretezza all’impossibile, di spostare le bibliche montagne. La nostra civiltà deve tutto a questi uomini, matti luminosi che si sono lasciati il mondo alle spalle per l’incapacità di mantenere il loro passo. Li abbiamo osteggiati, perseguitati, spesso eliminati senza capire che essi sono il sale della terra. Ecco, è tempo di creare Scuole capaci di forgiarli, di educarli e di immetterli nel mondo come cellule nuove e vitali di una umanità guarita. La ESE da alcuni anni conduce l’Integrity Seminar, un workshop per top manager e leader d’impresa che ha avuto edizioni nelle maggiori capitali del mondo, da Roma a Shanghai, da Budapest a New York. L’obiettivo è portare avanti questi concetti e proporre agli uomini con grandi responsabilità, in economia come in politica, un lavoro rivolto alla realizzazione di questa compattezza interiore, l’Integrity come condizione dell’essere. La ESE ha individuato in questa la parola chiave del futuro e la base stessa della leadership. La integrità di un leader ha la capacità di attirare uomini e risorse dando loro una ferma direzione verso l’alto, e poi visibilmente, verso il successo. L’integrità morale non può essere perseguita per sé, e meno che mai può essere sviluppata da corsi di etica, ma come una naturale conseguenza della integrità tout court. Essa emerge in un individuo che ha eliminato dal suo essere ogni contrapposizione e ha armonizzato in sé gli eterni antagonismi di sempre: business ed etica, azione e contemplazione, potere finanziario e amore.

Come si diventa “sognatori pragmatici” e come si apprende l’arte del sognare, come dice il Suo Libro: la capacità di trasformare l’impossibile in possibile e poi in inevitabile?

Il sogno è la cosa più reale che ci sia – dice il Dreamer. Tutto nasce dal sogno. Il sogno può essere soltanto dell’individuo: non si può sognare né in due, né in mille o in un milione. La massa non può sognare e di fatto non ha mai creato nulla. Solo l’individuo crea e può portare cambiamenti nella società. Come scuola, abbiamo la missione di preparare sognatori che allo stesso tempo abbiamo grande concretezza. Li abbiamo chiamati pragmatic dreamers coniando la sintesi più efficace di un progetto educativo antico di millenni, espresso nell’apparente paradosso biblico: innocenti come colombe e astuti come serpenti. Occorrono scuole capaci di educare uomini e donne scaltri nel mondo degli eventi e innocenti nell’essere. Nell’azione essi devono competere e vincere con gli avversari e gli antagonisti più scaltri e preparati, mentre interiormente a nessuno deve essere permesso di intaccare la loro integrità, niente deve produrre ferite. Innocente deriva da “in-nocuus“, che non nuoce, cioè incapace di cagionarci un danno. Un sognatore pragmatico concilia in sé la parte sognante ed il fare pragmatico senza scinderli mai. Nella sua visione non c’è separazione tra esterno ed interno, visibile ed invisibile, tra essere ed avere. Egli sa che un uomo può solo avere ciò che è, può solo possedere ciò di cui è responsabile.

Quale è stato il percorso che l’ha portata a fondare ESE? Quali i passi decisivi? Come ha superato gli inevitabili ostacoli?

 L’incontro con il Dreamer è stato determinante, Un giorno mi ha affidato il compito di creare una nuova università, una fucina di uomini visionari, pragmatic dreamers. E anche se avevo ricevuto da Lui un lungo tirocinio, quando mi fu annunciato mi sentii schiacciato da un tale compito. Poi mi rimboccai le maniche e iniziai dal primo studente fino a raggiungerne migliaia. Tutti ragazzi con un sogno da realizzare, tutti attirati dal suono del flauto magico delle idee e dei principi del Dreamer. Quando si è pronti veramente a realizzare un sogno, gli ostacoli si smussano e le difficoltà che ci apparivano insormontabili come montagne si rivelano lievi gibbosità su cui mettere il piede e andare oltre. Realizzai che tutto nella mia vita, nel bene e nel male, mi aveva preparato a questa impresa. Così quando mi chiedono cosa facevo prima di diventare il rettore della ESE rispondo: mi preparavo a diventare il Rettore della ESE. Aver appreso dal Dreamer che l’antagonista è il realtà il tuo migliore alleato è stata una grande realizzazione. La sua forza apparentemente avversa ci tiene svegli e attivi e lavora giorno e notte al nostro servizio. Un vantaggio competitivo impareggiabile degli studenti ESE è sapere che l’unico e solo scopo dell’antagonista è la tua vittoria. Nel mio Libro, La Scuola degli Dei, é raccontata la nascita della Scuola e si ritrovano le idee e i principi che l’hanno ispirata e tuttora la guidano.

Qual è il suo sogno per il futuro? E per i suoi allievi?

Il sogno della ESE è la continuazione del Sogno di Platone e la sua evoluzione: realizzare una Scuola che metta l’individuo, il singolo studente al centro di ogni attività e il suo sogno in cima ad ogni priorità. E che ogni studente scopra quali sono i suoi talenti, per che cosa è nato. Il sogno che trasmettiamo ai nostri allievi è che ognuno di essi abbia le qualità e l’opportunità di scegliere e non di essere scelto, e che faccia nella vita ciò che veramente ama.

La preparazione che date ai vostri studenti è fortemente internazionale, con la possibilità unica di spostarsi da un campus all’altro – Londra, Milano, Lucca, Roma, New York – dove la ESE ha sede. E’ così che si diventa cittadini del mondo?

Are you ready to be a planetary citizen? Questo è l’appello ed allo stesso tempo la sfida lanciata dalla ESE per recrutare I futuri leader globali. Per diventare cittadini del mondo non è sufficiente viaggiare e conoscere le lingue. E neanche è sufficiente creare uno spazio accademico senza frontiere, come la ESE ha fatto, dove gli studenti possano muoversi da una nazione all’altra, da un campus all’altro, in completa libertà. Anche questo non basta a educare planetary citizens. Per perdere i contorni che ci costringono in una cultura, entro i confini angusti di una nazionalità, occorre perdere il provincialismo, vanno eliminati pregiudizi e idee di seconda mano trasmessi attraverso anni e anni di educazione, direi di indottrinamento, alla uniformità. Siamo ancora ai primordi di una educazione tesa a preparare donne e uomini liberi, pensatori indipendenti. Leader globali, veri cittadini del mondo.

Un suo consiglio per dare a Finanza Straordinaria.it un respiro internazionale perché tutti coloro che la utilizzano, da qualunque nazione, se ne sentano parte?

Una organizzazione è l’espressione del suo fondatore come furono i regni per gli antichi sovrani. Le sue caratteristiche, il segreto del suo successo e anche della sua longevità sono nelle idee, nel sogno di chi l’ha creata. Conoscendo il professor Marco Arcari posso prevedere che il suo progetto di strada ne farà tanta e troverà lettori e fans in tutti i paesi del mondo… E questo è anche il mio personale auspicio.

Domenica, 19 Settembre 2010 11:20

Intervista Mario Benassi

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MarioBenassi_FILEminimizerProfessor Mario Benassi- Docente presso l'Università degli studi di Milano Doccente di Business Plan ed Economia e Gestione di Impresa presso l'UNiversita degli Studi di Milano Si occupa di nuove forme organizzative e di business development con particolare riferimento ai settori high-tech Ha svolto e svolge attività di docenza e consulenza in Italia e all'estero

In America il tema dell'innovazione è molto coltivato, garantendo una continuità tra idee e sviluppo imprenditoriale. Secondo lei si potrebbe importare in Italia un sistema d'eccellenza come quello della Silicon Valley?

Silicon Valley è il risultato di una miscela sapiente fatta di investimenti nella ricerca, spirito imprenditoriale, attitudine al rischio e supporto istituzionale in una situazione di “prato verde”.

Non è realistico pensare di importarne la formula nel contesto italiano, dove prevalgono inerzie e resistenze corporative di vario genere. Si può invece pensare di costruire un sistema di alleanze a forte carattere operativo con quella realtà, confidando che possa retroagire sul contesto nazionale e agire da stimolo al riguardo

Intervistando il Dott. Piol al riguardo è emerso un problema culturale della realtà italiana rispetto a quella internazionale relativamente all'importanza degli investimenti Venture Capital. Lei concorda con questa tesi? Come si potrebbe superare questa empasse?

Il sistema finanziario italiano ha colto in ritardo e con sospetto la dimensione del venture capital, e non è riuscito a dotarsi delle competenze necessarie per farne una leva di sviluppo. Ciò detto, va ricordato che la arretratezza del venture capital dipende anche, in Europa e in Italia in particolare, da una offerta di progetti imprenditoriali modesta, sia per scala che per scope

Secondo lei quali strumenti dovrebbero essere messi a disposizione dalle istituzioni per favorire un maggior incremento delle start up?

Suggerirei di ricorrere a strumenti leggeri quali quelli intesi a favorire la mobilità del capitale umane. Per un giovane che abbia qualche idea brillante conta più un viaggio che lo esponga alle realtà avanzate in Silicon che non un modesto contributo in conto capitale

L'attuale riforma universitaria è stata aspramente contestata. Ma qual è effettivamente la situazione nell'ambito della ricerca?

Non si può rispondere in una battuta. Se parliamo di ricerca per le imprese, viene spesso considerata un costo da limitare piuttosto che uno strumento di vantaggio competitivo possibile. Se parliamo delle istituzioni e della ricerca pubblica, dobbiamo purtroppo rilevare come prevalga un orientamento cerimoniale, poco attento a scelte coraggiose e rigorose

I giovani e il sogno imprenditoriale. Iban ha scelto finanzastraordinaria.it per pubblicare integralmente la guida … . Secondo lei quali passi si devono compiere per passare da giovane con il sogno imprenditoriale ad imprenditore di una start up?

La miscela è molto articolata, ma in generale direi che servono esempi da imitare, “sparring partners” con cui allenarsi, persone, imprese e istituzioni su cui fare leva e su cui poter contare. Tutte cose che al momento mancano.

Quali strumenti ritiene siano necessari per portare alla luce degli investitori le idee di start up? Ce ne sono a sufficienza? E se sì, come potrebbe essere migliorato il canale di comunicazione?

Ci sono pochi investitori e le idee e i progetti non abbondano. Ciò detto occorrerebbe facilitare i canali di comunicazione e di coprogettazione nella fase di presviluppo. Ci sono molte buone idee che non hanno la forza per diventare impresa, il che non vuole dire non possano tramutarsi in progetti profittevoli.

Finanzastraordinaria.it ha lanciato “Start up your dream” concorso che premierà la migliore idea imprenditoriale dando la possibilità di realizzare il progetto. Qualche consiglio per i giovani che volessero presentare i progetti in modo “vincente”?

Al di la delle solite ricette, essere chiari e al limite didascalici, cosi come trasmettere l’entusiasmo per quello che si intende fare, dimostrando che ci si crede.

Quali suggerimenti darebbe a www.finanzastraordinaria.it per rispondere in modo sempre più concreto ed efficace alle sue esigenze di professionista?

Diffondere le iniziative che hannno successo e fare da ripetitore per le cose facilmente riproducibili.

L’ultima domanda vuole avere una veste spiritosa: uno scoop da comunicare in anteprima ed esclusiva a finanza straordinaria.

Stiamo lanciando newbusinesslab, un laboratorio aperto a tutti gli studenti di Unimi che abbiano idee brillanti e vogliamo sviluppare progetti innovativi

Domenica, 19 Settembre 2010 12:18

Intervista Paolo Anselmo

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Paolo Anselmo - Presidente IBAN President, non-profit International Association INSME, International Network for Small and Medium Sized EnterprisesPaolo_Anselmo_FILEminimizer (SMEs) Since 1999, Paolo Anselmo is responsible for general management of the IBAN Presidency based in Milan (Italy). Actually Paolo is INSME s President and member of EBAN s (European Business Angel Network) Executive Committee. Paolo has been, since 1994 to 2006, the Managing Director of the Aosta Valley Regional Development Agency (Centro Sviluppo SpA).Paolo was CEO of important helicopters transport companies based in Italy and Spain. Paolo Anselmo (49) has a Degree of Aeronautic Engineering at the Polytechnic of Turin (Italy).

Mr. Paolo Anselmo, President of IBAN - Italian Business Angels Network Association and Vice-President of EBAN - European Business Angels Network Association, gave a lecture on 12.03.2008 at European School of Economics with regard to Business Angels activity in Italy.

In 1999 the European Business Angels Network (EBAN) was founded and it was joined by the Italian association IBAN. The organization helps an entrepreneur to develop a business plan and to meet an investor. Business Angels play an important role in managerial financial institutions and can strongly stimulate the development of small and medium enterprises. Business Angels understand the equilibrium between risk and remuneration ( the higher risk- the higher remuneration). Banks are the main money suppliers for small and medium companies, but considering the unwillingness of banks to risk their capitals, nowadays it’s more and more difficult for start-ups to access finance. SME’s market (Small, Medium. Enterprise) segment is a high risk segment, and requires some forms of security that for small and developing companies are strict exigent, taking into account that all intangible assets are not considered as a security.

The paradox is that banks, venture capitalists and stock exchange have money to support the entrepreneur, but they assure that there are projects not good enough, or probably they are not really interested in early staged companies. Equity finance demonstrates cultural reluctance from both demand and supply sight, while venture capitalists invest in higher amounts and do not cover the gap between start-up and growth.

Business Angels’ financing is one of the solutions to fill this gap. Generally speaking, business men are faced with four types of issues when trying to raise equity, which are cultural reluctance, when it comes to open their companies to outsiders; difficulties in presenting themselves or their business plan in a way that accommodates the priorities and management requirements of equity suppliers; project investment readiness: certain credit and venture capital tools are not fitted to the needs of all kind of businesses at every stage of their development; difficulties in identifying and reckoning with the administrative requirements of venture capital and credit providers. Such requirements include projects’ information as well as financial and managerial data. Downstream of investment, businesses should also recognize the importance of regular, properly formatted reports to investors.

There are different ways to finance businesses, one of which is informal investment, in other words Business Angels. ‘Business Angels are investors who provide risk capital directly to new and growing businesses in which they have no prior connection’ (Harrison and Mason, 1996). They are ready to invest and to risk in start-up firms, to invest their own money, usually 20-30% of their cash capital. They are willing to share their managerial skills and enterprise background, and are ready to wait for an exit for 3-5 years. According to a research conducted on UK angels in 1998/1999, 34% of investments involved total loss, 6% involved partial loss, 8% broke even, 7% had a return of fewer than 10%, 7% had a return of 10-24%, 13% had a return of 25-49% and 25% had a return of over 50%.

The Business Angels Syndication- the gathering of several business angels into an informal consortium- was made for the purpose of creating a critical mass of funds above which each business angel could- or would be prepared to-invest. Business Angels Syndicate pools the competition in order to offer more managerial skills than any individual business angel could display. Let’s cover issues which distinguish business angels from venture capitalists. Venture capital is easy to find and it can often provide large investment via syndication, whereas business angels’ investment amount is limited and it is more difficult to find. For venture capitalists your request is only one among many hundreds they receive, due diligence and investment process are thorough and formal.

Business angels often request a strong personal involvement, investment decisions are quick and less formal. Finally, venture capitalists’ exit route is very important, whereas business angels’ exit route is less focused. The investment process itself starts with the initial contact, which could be made by means such as a meeting, a reference, a telephone call, fax, e-mail, etc. The investor makes an initial evaluation of the proposal, and a decision is taken on the basis of this first evaluation and in accordance with the expectations of the company; the decision is about whether or not to proceed with a detailed analysis.

Analysis of the potential investment includes several meetings with the management team of the company. Then follows the evaluation of business opportunity and the management team capacity in order to correctly interpret their objectives and corporate culture. Later an analysis of business plan, product line and target market take place. Finally they agree on the most appropriate financial structure regarding the company’s projects and financial needs. BAN provides many important tools for the entrepreneur (identification of potential investors, preparing the contact with BA, assistance for the matching, information on additional fund raising, and so on) and business angel (training programs like BA academies, organisation of investments forums/clubs, personal introductions, possibility of co-financing with other BA, links with other networks and so on).

Matching services can be arranged in different ways: calculation of information (e-mail newsletters, website, news magazine), investors clubs, business forum or informal one-to-one meetings. All the above listed solutions can be used separately as well as combined with each others. At the end let’s pay attention to statistics. According to the amount of BAN( national and regional) in the country, the first place belongs to UK (50), then France and Germany with 48 and 40 accordingly. Italy is on the fourth place-10 BAN.

Benchmarking angels activity in USA and Europe shows the following data: in 2006 in US recorded 234.000 angels with an invested amount of $25.6 Billion in 51.000 companies. While in Europe in 2006 there were 50.000/75.000 angels, with an invested amount of 2-3 Billion Euro. According to the forecasts this number will double during the next two years. About evidence of EBAN in 2006 in Europe there were 9.000 active angels in 97 networks, 653 deals done and 127 mln Euro invested (recorded activity only in responding networks: just a very small portion of the activity) The potential of Business Angels in Italy is 195.000- High Net Worth Individual, while in Europe it is 2,6 mln and in USA 2,7 mln. IBAN estimates that more than 8-10.000 informal investors could be mobilized in Italy as Business Angels.

Domenica, 19 Settembre 2010 12:26

Intervista Walter Conca

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Professor Valter Conca - Sda Bocconi Direttore presso Sda Bocconi della direzione Sviluppo e Risorse e docente senior presso l'area Finanza aziendale eValter_Conca_FILEminimizer immobiliare. E' inoltre Coordinatore dell'Osservatorio sulle strategie di creazione del valore e sulle operazioni M&A presso il centro Finindustria. E' Docente di Economia e gestione delle imprese e di Pianificazione strategica presso l'Istituto di Economia delle Aziende Industriali e Commerciali 'Giorgio Pivato'.

Quali elementi della struttura delle piccole e medie imprese italiane secondo lei sono positivi nell'ambito di un'operazione di M&A, quali invece sono ostativi?

La risposta può essere bidirezionale, dipende se siamo compratori o venditori. Se siamo compratori l'acquisizione ha senso quando apporta dei benefici e affinchè questo avvenga è fondamentale che sia in linea con il razionale strategico dell'impresa. Questo non sempre accade nelle piccole e medie imprese perchè spesso l’imprenditore si lascia ingolosire da un'opportunità che gli si presenta. Bisogna pertanto che all'interno dell'impresa sia molto chiara la motivazione dell'acquisizione. Il discorso cambia completamente se siamo venditori: le aziende si vendono quando sono molto redditizie o al contrario quando non lo sono. Nel primo caso l'azienda è efficiente, ben organizzata, produce buone performance e quindi non ci sono grossi ostacoli alla vendita. Nel secondo caso invece bisogna fare un distinguo. Il fatto che la società non abbia buone performance non vuol dire che manchino le condizioni per essere attrattiva; spesso sono presenti asset che hanno un certo valore ma che sono ad esempio mal utilizzati. In questo caso chi compra è interessato in particolare ad acquisire una parte di questa azienda che può essere una tecnologia, una gamma di prodotti, un segmento di mercato. Sotto questo profilo gli elementi di successo sono le condizioni che mancano a qualcun altro, sono aziende che apportano altre doti. Questo lo scenario fino a poco tempo fa, adesso con la crisi del credito il discorso è un po' cambiato.

Relativamente al periodo che stiamo vivendo che tipo di scenario si apre per le operazioni di M&A?

Si aprono due scenari: le piccole e medie imprese che possono autofinanziare le operazioni di M&A hanno dinanzi uno scenario che definirei molto positivo. L'autofinanziamento infatti dà la possibilità di comprare oggi e a prezzi molto competitivi. Chi non ha potenziale invece è oltretutto impossibilitato oggi a trovare una linea di debito, a maggior ragione se è una realtà piccola. C'è un altro problema che avremo da gestire nei prossimi 12 mesi: l'incapacità attuale degli imprenditori che vendono di allontanarsi da quelli che sono stati i multipli mediamente pagati fino all'altro ieri. Oggi il mercato è del compratore, non si può più pretendere di cedere ai multipli dei tempi scorsi.

Abbiamo affrontato spesso il problema del passaggio generazionale. Secondo lei quando un'operazione di M&A può garantire una buona riuscita del passaggio generazionale per una piccola e media impresa?

Credo che non ci sia nessuna preclusione perchè un'operazione di merger and acquisition possa essere lo strumento giusto per attuare un passaggio generazionale. Ne ho viste molte, anzi sono una soluzione ottimale per due ordini di motivi: talvolta dopo “n” anni ricompra l'azienda proprio la stessa famiglia che l'ha venduta, per cui può anche capitare che dopo l'ingresso di un fondo di Private Equity che cogestisce l'azienda con principi di massima trasparenza sia lo stesso imprenditore a ricomprarla. La seconda alternativa è che comunque rimanga alla famiglia una quota di minoranza ma ormai sostanzialmente la società è pilotata dal mercato (nel caso ad esempio di una quotazione). Le operazioni di M&A costituiscono uno strumento utile anche quando si affronta un replacement capital, ossia quando i fondi intervengono comprando quote di parte della famiglia e diventano il garante al di sopra delle parti, parti che in questo caso possono essere in conflitto tra loro (liti tra fratelli etc). L’unico interesse del fondo è che l'azienda vada bene e questo risolve tutte le varie diatribe famigliari in corso. L'alternativa all'operazione di M&A è vendere ad un compratore industriale concorrente, decisione spesso non facile perché sembra di tradire la propria radice imprenditoriale oltre che famigliare.

Se dovessimo fare una analisi delle realtà estere maggiormente interessate alle società italiane, quali paesi sono maggiormente interessati ad investire?

Osservando i dati dal 2005 ad Agosto 2008 possiamo notare come l'80% degli acquirenti siano europei. Nel 2008 tra gli acquirenti estere si registra un incremento tra gli investitori dell'est Europa e un decremento del nord America. Per cui si sta un po' spostando l'asse di investimento dai paesi ad economia forte americana ai paesi dell'est. Per quanto riguarda le dimensioni osserviamo che sono in aumento le acquisizioni di aziende medio grandi, in diminuzione le acquisizioni di aziende grandi.

Quali settori sono privilegiati?

Sempre in riferimento ai dati aggregati dal 2005 al 2008 eccelle l'ICT con l'85% delle operazioni, segue l'appliance and components, terzo posto machines and equipment. Esaminando questi dati si osserva che la maggior parte delle operazioni, circa il 70%, sono acquisizioni “related”, in cui l'acquirente opera nello stesso settore o in settore correlato. E' molto scarsa l'incidenza delle operazioni unrelated cioè le classiche diversificazioni.

Se lei dovesse dare un consiglio ad un imprenditore coraggioso?

E' molto difficile. Non c'è un settore di per sé attrattivo, salvo qualche caso isolato. In realtà vi sono delle “nicchie” all'interno di alcuni settori. Per esempio il settore del wellness sta avendo buoni risultati ma non è automatico affermare che sia un settore in cui puntare per acquisizioni.

Secondo lei, vista l'attuale situazione macroeconomica dei mercati, questo è il momento di alleggerire la propria presenza in azienda?

Attualmente il mercato è del “compratore”, un imprenditore oggi ha meno interesse a vendere e più interesse. Ovviamente se una società va bene, opera in una nicchia e si accontenta di incassare prezzi “normali”. Fino a ieri il mercato era del venditore, oggi no. Fino a ieri i fondi di PE compravano a mani basse e a prezzi troppo spesso fuori mercato. Non le sembra un controsenso che i fondi di Private Equity che fino al primo semestre 2008 hanno realizzato numerose operazioni oggi siano in stand-by nonostante per loro natura non dovrebbero essere influenzati dagli andamenti di mercato ma dai fondamentali dell’azienda? Si fino a un certo punto. Nel senso che il fondo quando compra lo fa sapendo bene quale sia la way out. Attualmente visto che la Borsa non rappresenta più questa via d’uscita, di fatto si preclude una delle alternative possibili e questo condiziona evidentemente l'operatività. Anche se quando parliamo di way out ci riferiamo ad un periodo di tempo abbastanza lungo per i fondi di Private Equity. Assolutamente sì, tant'è che dai nostri studi emerge che la way out dall'anno scorso a questo anno stia salendo a 4 anni; quando la misureremo l'anno prossimo è probabile che ci sia un ulteriore slittamento. Questo vuol dire che in pancia ai fondi permane la partecipazione per più tempo proprio per questa difficoltà di uscita. Difficoltà che peraltro è duplice attualmente perchè manca la way out della Borsa e contemporaneamente anche quella di rivendere a certi prezzi. Il fondo fa arbitraggio su due leve: sul multiplo e sul valore dell'ebitda. Il rischio oggi è di rivendere ad un multiplo vicino al multiplo di entrata, diminuendo fortemente il rendimento dell’operazione. Quindi a livello attuale i fondi che avrebbero già preventivato una wayout a breve si trovano a dover rivedere la loro pianificazione.

Non hanno alternative?

Per forza, o si accontentano di rendimenti bassi o devono attendere che il mercato riparta. Se la società è sana in genere il compratore lo si può trovare ma i fondi si devono un po' accontentare. Attualmente i soldi per le operazioni di M&A non arrivano dalle banche che hanno “tirato i cordoni”.

Ma un imprenditore coraggioso dove potrebbe trovare un finanziamento alternativo?

Non c'è. Gli unici che hanno tanti soldi oggi sono i fondi sovrani ma stiamo parlando di un accesso che è concesso a big companies società quotate, pertanto stiamo parlando di operazioni di un certo rilievo. E' molto difficile che questi fondi siano interessati a società di piccole dimensioni. In questo momento non si trovano alternative: o autofinanziamento o debito. Si può pensare a disinvestire alcune attività, alcuni impieghi fatti dall'imprenditore e dalla famiglia in ambito immobiliare o in altri asset: esco dall'econoia finanziaria ed entro nell'economia reale in azienda in modo da autofinanziarmi per poter realizzare un'acquisizione. Vuol dire riallocare il mix dei propri impieghi famigliari secondo criteri diversi.

Le sue previsioni per gli sviluppi del M&A per il mercato italiano?

Sicuramente ci sarà ancora un numero interessante di operazioni. Il mercato non è ancora crollato sotto questo profilo sia nel M&A che nel PE. In questo ultimo sta tenendo il numero delle operazioni, nel M&A fino ad ottobre i risultati sono stati buoni, poi si è registrato un calo un po' brusco. La grande crisi si vede invece nei valori, che sono calati del 50% perchè manca il debito che finanzia le acquisizioni con enterprise value elevato. Pertanto ci sarà maggior competizione sui piccoli deal e una maggior difficoltà e una scrematura del mercato da parte di merchant bank e fondi che per loro natura sono sempre stati abituati a chiudere 1-2 operazioni di entità rilevante piuttosto che 7-8 più piccole. E questo è un problema.

Lei ha scritto un articolo dal titolo “Se la mergermania raggiunge le PMI...è ora di network” che mi ha colpito ed incuriosito dato che anche finanzastraordinaria.it fa del network il suo elemento principe. Mi vuole spiegare di cosa si tratta?

E' un articolo del 2001 nato da un forum e legato ad un progetto analogo al vostro sito. Il problema di fare incontrare la domanda con l’offerta di opportunità presenti sul mercato è certamente rilevante e trovare una soluzione che agevoli l’incontro era il nostro obiettivo.

Visto che una parte della sua iniziativa è molto vicina ai presupposti su cui si fonda www.finanzastraordinaria.it le chiedo un consiglio per essere sempre più vicini alle esigenze dei professionisti del corporate finance.

Perseverare. L’idea è ancora oggi validissima e corretta. Il vero problema è trovare un adeguato finanziamento e gestire con molta accuratezza il sito evitando di proporre operazioni “non fattibili”; in questo senso la mancanza di un mandato preclude normalmente la fattibilità di una proposta proveniente da professionisti terzi.

Domenica, 19 Settembre 2010 12:38

Intervista Stefano Saccardi

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Stefano Saccardi - Officer legal affairs and business development Stefano Saccardi è nato a Milano il 12 maggio 1959. Laureato in Giurisprudenza, faStefano_Saccardi parte del Gruppo dal 1985, ricoprendo vari incarichi nell'area legale, societaria e di public affairs. Dal 1999 ha assunto il ruolo di Officer Legal Affairs e dal 2001 ha assunto anche la responsabilità di Business Development.

 “I joined Campari 23 years ago and for the first nine years I was the typical in –house counsel in a very conservative Italian Company.

At that time acquisitions were not in our strategy and our only brands were Campari and Campari Soda (a pre-mix based on Campari). Then, there was a generational change that led to a change in strategy. For me personally but for the whole company, the change was quite abrupt. I recall one particular day, in 1994, when I was first invited to attend a crowded M&A meeting discussing a large transaction, with lawyers and advisors who all used the typical M&A jargon that had a precise meaning for everybody but me. When the meeting was over, I rushed to a bookshop specialised in legal and financial publications and I asked the shopkeeper:

“Please, give anything you have about M&A!”. I then got a thick manual that I swallowed as if it was on the bestseller list. That was my “formal” training in M&A, which however was followed by a lot of in-the-field training. Since we started the acquisition trail, net sales have increased from € 150 million to approx. € 1 billion and profitability has increased more than proportionally: that kind of a jump in a mature industry can’t be achieved without external growth, without acquisitions, because even if you make your brand grow, you cannot achieve this kind of growth in the spirits and the wine industry without adding new brands to your portfolio. In fact, all our business is about brands.

Understanding a brand and consumer is the key to success: what do they want, what does the brand mean to them, how to reach them, how to really fulfil their expectations, etc. In a few words, understanding is the most important skill and you can achieve that not only from numbers of the reports, but you have to go out and understand what people want and what their feeling is. It’s not the technological industry where a product can disappear because of the fast innovation: in wine and spirits industry you have a certain trend and you have to improve those brands, but it is fairly simple.

So, having a nose for brands is the main skill that is required for successfully executing an external growth strategy in our industry. After having talked about me and the company, let’s talk about M&A. Today acquisition transactions are done all over the world: from China to Italy to America, the hardware for a M&A deal is always the same, with the usual steps (confidentiality agreement, information memorandum, due diligence, etc.).

I’ll be focused on the software you use with it, which is represented by the personal factor that is crucial to make deals. You are always facing very different counterparts. I can think about my experience and I come to the conclusion that whoever is your counterpart, people always have goals. Generally when you make a deal you spend a lot of time in setting down and being sure that what you are doing makes sense from your perspective. But at the same time it’s very important to ask yourself why is the counterpart selling and what do they want. You would assume that the answer to the second question is very simple: money. Of course money plays a role, but it’s not the only objective and it’s not only driver. Sometimes money is an obstacle to close a deal: just image to be the member of a family who has owned the business over more than one generation.

You may think “Maybe I should sell the business because they are offering me an enormous amount of money”. But sometimes the reason they decide not to sell is that they don’t know what to do with the money they get. And looking at recent performances of the financial markets, you might actually agree that keeping the money invested in a family business might be safer than selling it and be exposed to the fluctuations of the market. Going back to our topic, certainly you must understand what the driver for the sellers is and you have to try to accommodate their face saving needs or their willingness to continue to play a role in a certain community: you have to offer a kind of structure which meets their requirements.

The reason why a seller wants to sell is very important to investigate. Sometimes they tell you straight away, but sometimes it’s more difficult because if there is no convincing explanation for which a person wants to sell, then you should start having doubts. For instance, you are often confronted with the so-called “hockey stick” where the past performances of the business are bad, but the sellers present you with a business plan for the following five years that goes the opposite way: if that is true, why should a person decide to sell a business at the lowest point of its performance? In these cases, the true reason for selling is the bad performance and there is no real expectation that the situation might improve. Once you have understood why the sellers want to sell and what they want to achieve, you can start to discuss with the counterparts and this is a very interesting part of an M&A.

The typical mistake in this phase is to be overly confident and arrogant when you speak to an entrepreneur: you have to understand the counterpart and not being overly aggressive with that, that implies a lot of patience because there are emotional issues attached to it. You have to convince them that selling is the best solution for them for that business. But if you are too optimistic regarding the potential of the business once you own it, the potential seller may claim more money to sell his activity. It can be easier for big corporations, but surprisingly, even if you make a deal with a large corporation, managers also have their individual objectives.

Let me give you an example from my experience with one particular transaction. The people in the selling team had been working for one year really very hard on a much bigger transaction and our deal was really the last piece of the job: they were really tired and Christmas was approaching and the fact was that they wanted have it done before Christmas, after a really tough year. So we could really do a good deal because everybody wanted to do it: they were very good at negotiating, but it was very quick. Of course it’s even more complex why you do deal in Eastern Europe where the culture and the way to understand the how they think becomes even more difficult and to get the same understanding becomes quite complicated. You need to do a sort of background work to understand mentality of people of certain countries, as it’s very easy to pass the wrong message. For instance, if you go to Russia you must realize that most businessmen have not even the basic knowledge of financials because they are fully driven by cash flow.

The last, but not least, factor that you have to consider in an M&A is that you have really to be passionate in what you do and to be fully committed: then, it becomes you can be very successful in the transaction. I think that the Campari story shows how a “normal” company with strong passion can achieve a lot. Then Stefano Saccardi continues the lesson, answering the students’ questions, and asking them which their perception of the brand is: for most of them Campari represents the Italian lifestyle wherever you buy it all over the world.

He points out that of course you must have a financial knowledge, but the evaluation the spirits industry are based on multiples, on EBITDA, on performance of product: actually it’s not so complex. He would say that the financial part is less sophisticated than in other industries, such as telecommunication, because the market is more stable and technological innovations doesn’t play a role. The spirits industry has a low CAPEX, so you don’t have to invest in tangible assets, but rather in intangible assets. In Campari’s opinion, there are 3 general types of purposes for brands to do an acquisition. The first one is to buy local brands in order to acquire a platform in a given market. This is what they are trying to in Eastern Europe buying local products and local in distributing products.

The second one is achieving synergies, even paying a large amount of money the acquisition. The third one is represented by niche brands that offer an environment where nobody can really challenge you: for instance Campari itself is particular – you can like or not – but it’s distinctive. Niche brands are very interesting to be acquired for Campari.

Social responsibility is another important point: when alcohol creates problems is certainly a bad image for the industry and Campari absolutely encourages responsible drinkers to have fun, but it’s a different story when it becomes an excess. Saccardi thinks that enforcement should be more consistent: the problem in Italy is that there are a lot of rules, but the penalties becomes really absurd and so, in many cases, they are not applied.

Domenica, 19 Settembre 2010 14:24

Intervista Enrico Minoli

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Enrico_Minoli_FILEminimizerSposato, cinque figli , è nato a Torino nel '48. Il padre Eugenio era un illustre avvocato internazionale e professore universitario. Cresce in una numerosa famiglia composta da sei fratelli ed una sorella. Tra questi, Giovanni, il noto "televisionista" padre di Mixer. Dopo essere diventato giornalista affermato si reca in America per approfondire gli studi di banking. All'inizio degli anni '80 fonda la "M&A" prima società italiana non facente riferimento a gruppi bancari, specializzata nel "Merger& Acquisition". La società viene acquisita dalla attuale UBS divenendo la seconda merchant bank per volume d’affari. Minoli che nel frattempo è divenuto AD del gruppo lascia e decide di dedicarsi al settore immobiliare in America. Dal 2005 è autore di romanzi di successo editi da Cairo edizioni: Trappola a New York (2006): la storia umana e professionale di Michele, affermato protagonista della finanza che si lancia in un progetto immobiliare in America. Ma si tratta davvero dell’affare di una vita o si nasconde un pericolo imminente? L’amore forse può essere la chiave di volta. Il segreto di Tarzan il greco (2007): quattro uomini, quattro sogni, quattro vite che si incrociano tra il mare epico della Grecia, i grattacieli americani, i paesaggi esotici. Tarzan il pescatore imprenditore coraggioso, Francesco merchant bank italiano innamorato della storia greca, Jani pastore eterno sconfitto legato e soffocato dalla sua terra, Elias il giovane diviso tra l’affetto per Jani e l’istinto di emulazione di Tarzan. E tra di loro un segreto, che non può durare ancora a lungo ma destinato a sconvolgere gli equilibri. Per ricrearne di nuovi.

Come mai ha affidato la trama dei suoi romanzi a elementi così dichiaratamente autobiografici? Da cosa nasce il suo bisogno di “esporsi” e raccontare delle storie?

Ho cercato di inventare un soggetto nuovo: nei romanzi ci sono gli ispettori di polizia, i carabinieri, i preti, gli avvocati e così via. Ho inventato il personaggio “uomo della finanza”  che interviene in differenti situazioni, in diverse vicende della vita che lo portano in giro per il mondo, nelle situazioni più disparate. E’ cittadino del mondo. Ovviamente, avendo un background professionale di ambito finanziario, mi sono ispirato a esperienze personali e dirette. Questo traspare molto nel primo libro [Trappola a New York n.d.r.], come spesso capita a molti scrittori, che è molto più autobiografico. Nel secondo di autobiografico c’e’ il contesto in cui vivo, tutto il resto è fantasia.

Il protagonista dell’ultimo romanzo, Francesco, ha raggiunto una buona qualità della vita. Non vivendo per il lavoro ma lavorando con intelligenza per plasmarlo alle proprie priorità. Lei cosa considera essenziale per una buona qualità della vita? Riuscire a conquistare una buona qualità della vita è una aspirazione sicuramente importante. Senza dubbio credo che bisogna lavorare per vivere e non viceversa vivere per lavorare. Nel secondo caso la qualità della vita sarebbe certamente bassa. E’ importante cercare di concentrarsi su tante altre cose che portino felicità e realizzazione alla nostra vita. 3. Come vede il mondo della finanza?

E’ un mondo dove ho vissuto per tanti anni, un mondo molto interessante che dà delle grandi opportunità di conoscenza di situazioni diverse e che può dare certamente delle grandi gratificazioni economiche. Però per certi versi qualche volta è un mondo un po’ arido. Bisogna essere capaci di staccarsi un pochino da quella realtà e cercare di approfondire altre situazioni. Non per niente tanti uomini della finanza sono filantropi, musicisti, collezionisti d’arte, hanno bisogno di altre fonti di arricchimento culturale.

Quale percorso dovrebbe fare un giovane oggi che volesse intraprendere la carriera nell’ambito finanziario per esempio all’interno di una grande banca d’affari?

Un giovane dovrebbe sicuramente svolgere un tirocinio di almeno 3-4 anni presso una grande società di consulenza aziendale, tipo Boston Consulting Group o le grandi case specializzate: perché permettono di conoscere dall’interno le realtà aziendali e compiere dei salti importanti professionalmente. E’ altresì necessario avere l’umiltà di conoscere e imparare tutti gli elementi della finanza e fare poi tirocinio in una grande banca d’affari.

Lei e’ giornalista, scrittore e professionista finanziario. In tutti i casi di successo. Di quale Enrico non potrebbe veramente fare a meno? 

Attualmente dello scrittore. Anche se non avrei potuto farlo senza l’esperienza di uomo di finanza. Mentre nel mondo della finanza si può avere discreto successo e cavarsela egregiamente dal punto di vista economico, dal punto di vista letterario per poter “sbarcare il lunario” con la scrittura bisogna avere molto, molto successo. Questo è un peccato perché la qualità intellettuale che si mette in campo nel mondo della letteratura è certamente superiore a quella del mondo della finanza.

Quali caratteristiche del lavoro di scrittore / giornalista le sono state di aiuto nella professione finanziaria?

Quando sono entrato nel mondo della finanza non ero ancora scrittore. All’epoca la capacità di analisi che mi era derivata dal mio background di giornalista è stata fondamentale. Lavoravo nel Merger & Acquisition settore in cui capire la psicologia delle persone che hai di fronte, saperle leggere e saperle interpretare è una qualità fondamentale. Qualità che ho sviluppato molto come giornalista. 8. L’amicizia moderna. I due protagonisti Jani e Tarzan hanno un terribile segreto a dividerli e nello stesso tempo unirli. Ma esiste la vera amicizia nel business? La vera amicizia nel business sicuramente esiste. La particolare amicizia di Jani e Tarzan descritta nel libro è una amicizia giovanile che non matura mai. Il loro grande problema è che sono uniti da un segreto e divisi da un percorso di vita completamente differente che non li colloca più sullo stesso piano. E’ quello che succede spesso tra i giovani che sono compagni di scuola, di università, compagni di squadra nello sport ma quando crescono, entrano nella vita magari non si incontrano più, ci si perde per divergenza di interessi e capacità.

Tarzan è il vero imprenditore, lei scrive: “continuava a fare progetti, a sognare di espandere la società (…). Per lui la parola non esisteva.” Dalla sua esperienza, se è possibile definirli, quali sono i “limiti” del limite, i segnali che determinano quando fermarsi?

Se uno sapesse quali sono i limiti del limite avrebbe trovato il Santo Graal. Il vero imprenditore ha come grande problema l’incapacità profonda di conoscere il limite, si butta sempre oltre l’ostacolo con coraggio. Con il rischio di perdere la sfida. Quegli imprenditori che sono capaci di vedere il limite hanno istantaneamente meno successo ma riescono a incrementarlo di più nel lungo termine.

Jani e Tarzan: lo sguardo verso il passato, lo sguardo verso il futuro. Lei dove sta guardando adesso?

Il futuro. Anche se in questo libro in particolare che si rifà alla cultura greca, al senso del fato, alla tragedia greca, il passato è imprescindibile sia per quello che determina nella storia plasmando il futuro dei personaggi sia perché lascia delle tracce indelebili che marchiano e che segnano gli eventi.

Nel suo libro Tarzan dice che dopo aver fatto la sua scelta giusta per il futuro prova una sensazione strana nei confronti del mare “eravamo lui e io, soli. (…) Era un rapporto intenso e fisico” ma che ora sentiva di averlo tradito e non contraccambiato. L’uomo deve sempre tradire qualcosa per progredire?

E’ grande e profonda la considerazione di Tarzan, un uomo che prendeva la vita dal mare, dava e riceveva dal mare, aveva con lui uno scontro incontro alla pari, lo doveva combattere quando era in tempesta senza mai tradirlo. Successivamente, con lo sviluppo della attività imprenditoriale turistica, Tarzan sente di fare una violenza totale nei confronti del mare, di prendere tutto e non dare nulla L’uomo ha un debito pazzesco con la natura per qualsiasi cosa faccia nel mondo, anche negli affari. Forse adesso con la conversione industriale verde questo credito diventa minore e la violenza verso la natura meno profonda. Ma fino ad adesso c’e’ uno sbilanciamento a sfavore dell’uomo.

Elias sogna di andare dappertutto, non gli importa se sarà alle dipendenze di qualcuno e forse un giorno camminerà con le sue gambe. Per i giovani di fresca passione, esistono dei mentori per guidare la loro irruenza verso il successo? Per lei come è stato all’inizio?

Le persone che trovano dei mentori sono molto fortunate. Io avevo un grande e meraviglioso maestro: mio padre. Purtroppo è mancato quando ero molto giovane e questa è la più grande mancanza e credito nei confronti della mia vita. Mio fratello Giovanni è un meraviglioso maestro per tutti coloro che lavorano nel settore televisivo, devo dire che sono molto fortunati quelli che collaborano con lui.

La statua di Giasone e gli argonauti campeggia nella piazza. Un’eco di mitologia inevitabile dato il contesto greco e pregnante per il senso della storia. Quale Vello d’oro vale la pena di cercare oggi?

Il mito dell’oro ha spinto a combattere verso l’impossibile, un fatto epico legato al desiderio di conquistare il cuore di Pella ma anche una prova di successo economico per impossessarsi di un vello d’oro, di valore. Oggi bisognerebbe conquistare il vello d’oro dell’equilibrio tra lo sviluppo economico e il mantenimento decoroso ambientale del nostro pianeta. Cito una frase di cui condivido il senso profondo: noi non stiamo vivendo nel mondo che ci hanno lasciato i nostri genitori ma stiamo vivendo nel mondo che i nostri figli ci hanno prestato. Dobbiamo fare molta attenzione a quello che faremo nel futuro e a quello che vogliamo lasciare ai nostri figli. Abbiamo una responsabilità pazzesca, siamo in prestito qui e se non ci diamo da fare per coniugare economia ed ecologia siamo rovinati.

Lei ha fatto molte scelte coraggiose, convivendo con il rischio, con il successo e anche con qualche delusione. Quale esperienza nella vita l’ha segnata più profondamente?

E’ tutto scritto in Trappola a New York.

Francesco e’ l’uomo in bilico tra il bisogno di certezze e le passioni. Chi vince?

Le passioni, Athanassia, la sinfonia. [personaggio femminile del libro Il segreto di Tarzan il greco n.d.r.]

Francesco, un romanzo e una vita scritti tra i fasti dell’antica Grecia di un semplice villaggio e tra una America motore di affari ferita al cuore. Quale insegnamento si porta dietro dell’una e dell’altra?

Il primo insegnamento è che il successo può esserci dovunque. Non a caso c’e’ un parallelo tra l’uomo Francesco che è cittadino del mondo e Tarzan, l’uomo legato disperatamente al suo villaggio da cui vorrebbe fuggire e infine Jani che non ha alcuna possibilità di liberarsi della sua terra. L’importante è crederci, non porsi limiti e andare sempre avanti.

La finanza è intrisa così significativamente di elementi emozionali come traspare dai suoi romanzi o è la sua personale ricerca che tende a valorizzarli?

E’ frutto della mia personale ricerca. La finanza spesso è arida ma una persona può riuscire a renderla intensa solo trasferendo tutta la sua umanità dentro. Nel libro la finanza è stata il mezzo per realizzare due uomini in un modo completo, non era finalizzata a se stessa.

Enrico Minoli guarda Enrico Minoli: la sua città, i suoi luoghi, i suoi personaggi

Sono cittadino del mondo. Mi sento molto legato ai posti dove ho vissuto Torino, Roma, Milano, Ginevra, Parigi, New York. Per lavoro ho viaggiato parecchio passando 4 mesi in Brasile, 2 in Australia e così via. Mi sento cittadino del mondo: una volta che vado in un posto lo sento famigliare, mi appartiene. Anche se un luogo sugli altri esiste: Francesco, tra parentesi Enrico, la sensazione che ha provato a Delfi non l’ha mai provata in nessun altro posto. E questa è la cosa più personale, autobiografica che traspare nel libro.

Domenica, 19 Settembre 2010 16:05

Intervista Vito Gioia

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Vito_Gioia1In occasione dell’incontro mensile de Il Cenacolo Finanziario nel cuore di Milano, abbiamo incontrato il suo fondatore e Presidente, Dottor Vito Gioia. Dottor Gioia, come nasce l’idea del Cenacolo Finanziario?

L'idea del Cenacolo "milanese" nasce dall'esperienza "romana" del Club Canova creato trent'anni fa da "4 amici al Bar... Canova" di Piazza del Popolo a Roma, professionisti Italiani di Banche estere. Il Club Canova è tuttora attivissimo a Roma e ogni suo evento conta anche 200-300 partecipanti. Mentre il Cenacolo finanziario volutamente accoglie al massimo 25-30 partecipanti per dar loro modo di stare seduti allo stesso tavolo ovale insieme al personaggio ospite di turno.

Relativamente alla scelta del nome: Cenacolo Finanziario, un nome che evoca visioni leonardesche ispirate al progresso nell’economia e nella cultura. Volete condividerne il ruolo propulsivo e in che maniera?

“Il Cenacolo è incontro. Un incontro voluto per fare cultura, per affrontare tematiche finanziarie, economiche, etiche. Un momento di crescita e di confronto tra i suoi partecipanti. L’impulso vitale è proprio il confronto soprattutto mediante la presentazione della testimonianza umana e professionale di ospiti di grande rilievo e spessore che dà vita ad un dibattito su temi sempre diversi.”

Il Cenacolo quindi, mutuando l’esempio di una tradizione antica desidera promuovere lo scambio culturale tra professionisti affermati nel mondo della finanza e lo fa in modo elegante e al tempo stesso molto accogliente. Una tavola rotonda in cui si dialoga e ci si ascolta, in cui generare e far crescere la cultura. Dottor Gioia, lei vanta un’esperienza professionale internazionale e di grande rilievo, ricordiamo per esempio Price Waterhouse, PWC tra le altre, per poi dedicarsi totalmente al settore head hunting con ASA, di cui è Amministratore Delegato.

Lei sostiene da sempre: “siano le persone a fare i numeri”. Come motivare le persone a dare sempre il meglio?

“Sono veramente le persone a fare i numeri. Le aziende sono le persone che vi lavorano. Non si può negare l’importanza dell’aspetto economico come leva motivante. Ma questo è vero solo nei primi anni di attività professionale. Bisogna creare altre condizioni perché ciascuno sia sempre motivato e realizzato: progetti coinvolgenti e intriganti da parte dell’azienda, un azionariato serio, un’immagine di prestigio. Bisogna insomma rifarsi sempre ad una sana logica industriale tipica dell’Italia che funziona.”

Domenica, 19 Settembre 2010 23:20

Intervista Davide Turco

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Responsabile Fondo Atlante Ventures e Atlante Ventures Mezzogiorno Ha iniziato la sua carriera nel 1990 nella Sige (Merchant Bank del gruppo IMI)Davide_Turco_FILEminimizer dove ha dapprima sviluppato esperienze di M&A, Equity Capital Markets, Venture Capital, lavorando in seguito soprattutto nell’attività di Private Equity. Nel 1995 è passato a Mediocredito Lombardo dove ha assunto la responsabilità di vari investimenti di Private Equity e Venture Capital, entrando poi a far parte del team di Private Equity di Banca Intesa a partire dal 2002. In tale contesto ha avuto la responsabilità di gestire una decina di investimenti con un controvalore superiore a 100 mln €, in buona parte già realizzati con risultati largamente positivi. Ha ricoperto, ed in taluni casi tutt’ora ricopre, incarichi nei CdA di varie partecipazioni del gruppo Intesa Sanpaolo, fra cui: Abac Group, Bolzoni, Novamont, RDB, Valvitalia. Dal 2007 si è dedicato allo sviluppo dell’attività di Venture Capital del gruppo Intesa Sanpaolo, assumendo nel 2008 la responsabilità del Fondo Atlante Ventures e del Fondo Atlante Ventures Mezzogiorno. Nato nel 1966, è laureato in Economia Aziendale all'Università Bocconi di Milano nel 1990.

Secondo i dati Pricewaterhouse cooper, il volume degli investimenti complessivi rivolti agli Early Stage nel primo semestre 2009 pari a 56 ml di Euro è superiore a quello dei semestri precedenti (52 ml nel 2008; 39 nel 2007). Nonostante il complessivo ammontare degli investimenti in Early Stage sia ancora limitato, possiamo interpretare questo dato in modo incoraggiante? Quale significato possiamo attribuire a questi dati rispetto al trend storico attuale? [ndr. Trend storico attività annuale vs I semestre 2009: 115 ml nel 2008 – 56 nel I sem 2009 – 66 nel 2007]

Secondo me sì! Noi veniamo da anni di particolare crisi nel campo del Venture Capital. Pochi investimenti fatti, derivano fondamentalmente dalla difficoltà che hanno avuto alcune esperienze passate nel momento del boom di internet. Questo fenomeno ha provocato da parte degli investitori istituzionali una forte resistenza a investire in nuove iniziative. Mi sembra che negli ultimi anni qualcosa sia cambiato, alcuni investitori sono tornati a guardare a questo mondo: il finanziamento delle aziende innovative è cruciale per lo sviluppo dell’economia italiana. Dall’altra parte sono nati nuovi fondi con un approccio che mi sembra serio, solido e convincente . Ha avuto un ruolo importante il finanziamento pubblico che ha iniziato ad affluire a favore del Venture Capital. In particolare c’è stato il bando del Ministero del Dipartimento per l’Innovazione che ha sbloccato 86.000.000 € a favore del Venture Capital nel sud. Importante perché con il meccanismo di co-investimento pubblico e privato, si sono mobilitate il doppio delle risorse poiché ad ogni milione pubblico di investimento deve corrisponderne uno privato.

Nella realtà economica statunitense l’azione dei Venture Capitalist è stata una delle forze motrici di sviluppo economico, garantendo multipli considerevoli. Quali sono gli aspetti micro e macro economici che permettono ad un fondo di venture capital di avere successo?

Il successo del Venture Capital è determinato dalla compresenza di alcuni fattori: la presenza d’innovazione in campo accademico, la propensione dell’università e dei ricercatori a fare trasferimento di queste tecnologie al mercato, l'interesse da parte di grandi gruppi di investitori a finanziare nuove tecnologie, la propensione al rischio degli imprenditori e dei manager, soprattutto giovani. Un altro fattore significativo è la disponibilità di capitali pubblici, no profit o a medio - lungo termine che sostengano il Seed Financing, il primo passaggio, quello più rischioso e dove dunque è necessario un approccio meno profit-oriented e più istituzionale e la presenza dei Business Angels, manager con esperienza che possono dare una mano a queste realtà affiancandole. Infine indispensabile è la considerazione di un contesto normativo, tributario, fiscale, fallimentare e societario che possa agevolare le nuove iniziative imprenditoriali.

L'Italia è pronta allo sviluppo di un Venture Capital più maturo?

In Italia probabilmente dobbiamo lavorare su tutte queste realtà, per cercare di portare al successo il mondo del Venture Capital. Sicuramente abbiamo dei punti di forza, la creatività di ricercatori e manager, poi abbiamo un tessuto di piccole – medie imprese che può essere un’ottima piattaforma per fare partnership e portare innovazioni tecnologiche sul mercato. Su tutti gli altri aspetti, credo ci sia da lavorare.

Secondo lei può esistere anche un problema culturale: nella proposta di una StartUp molti degli elementi ostativi sono determinati da un Business Plan non bene elaborato e privo di quei criteri di equilibrio tali da convincere l’investitore a portare a termine un processo di round di finanziamento dell’iniziativa. Se il problema persiste quali possono essere gli interventi per superarlo?

Sicuramente bisogna agire su tutti gli elementi del sistema. Partendo dall’università si riscontra una accresciuta attenzione al trasferimento tecnologico ma credo sia necessario sviluppare una cultura che sia anche del mercato, del business, e non solo della tecnologia o dell’accademia. Iniziative come i premi a favore delle StartUp consentono alle aziende che partecipano di apprendere quali sono i meccanismi fondamentali per un investitore. Sicuramente è bene per le StartUp partecipare poiché anche in caso non si aggiudicassero la “fiducia” degli investitori, potranno reperire dei buoni consigli e ritornare con maggiori opportunità di successo.

Finanzastraordinaria.it e il suo fondatore Marco Arcari, sono molto attenti alla promozione di mecenatismo di impresa. In questo ambito è nato il premio StartUp Your Dream con la collaborazione di Iban, che ha premiato tra i progetti pervenuti, uno spin off universitario di innovazione tecnologica. Recentemente avete istituito un’iniziativa di mecenatismo affine, “Start-up iniziative”. Ci può illustrare come è nata l'idea, il suo funzionamento? Quali risultati vi aspettate?

È un’iniziativa che nasce dalla divisione Corporate & Investment Banking di Intesa SanPaolo. Noi abbiamo collaborato come fondo Atlante Ventures, per segnalare delle Start-Up che potessero essere interessanti. La logica seguita dal gruppo Intesa Sanpaolo, è cercare di agire da catalizzatore dell’innovazione. Il progetto inizialmente funziona come piattaforma dove le Start-Up vengono selezionate, allenate a presentarsi agli investitori, e vengono messe in contatto con esperti dei diversi comparti tecnologici. . Il momento finale di questa piattaforma, che dura circa una settimana, è l’incontro tra le migliori Start-Up selezionate e la platea degli investitori di Venture Capital e i Business Angels. Da questa presentazione possono nascere opportunità di business. Questo può sembrare particolare, noi siamo contemporaneamente investitori e proponenti di opportunità ad altri investitori; i quali potrebbero essere in potenziale concorrenza con noi sul singolo investimento. In realtà il clima attuale nel mondo del Venture Capital è fortunatamente di collaborazione tra gli investitori, ognuno può portare il suo contributo specifico in termini di competenze e network. Il nostro team è attualmente limitato a sole 5 persone, e può essere un’opportunità valutare co-investimenti, dove ognuno porta il suo contributo con l’obiettivo di aiutare l’azienda a crescere.

Intesa Sanpaolo ha promosso due fondi, Atlante Ventures e Atlante Ventures Mezzogiorno, dedicati a sostenere l’innovazione e lo sviluppo delle imprese italiane. Come è nata l’idea?

L’idea nasce dalla convinzione presente nel gruppo Intesa Sanpaolo che sia di cruciale importanza sostenere l’innovazione nel nostro Paese e si colloca all’interno di un sistema di altri prodotti/servizi che il gruppo ha messo ha favore di Start-Up e piccole – medie aziende che fanno innovazione. Servizi per agevolare l’accesso a strumenti di finanza pubblica sia italiana, (tramite Mediocredito Italiano) sia europea (tramite Intesa Sanpaolo Eurodesk) e strumenti di finanziamento più tradizionali, oltre alla già citata Start-Up Initiative. In questa panorama però mancava un elemento fondamentale, il Venture Capital dedicato a finanziare piccole aziende e start up high tech, che normalmente hanno un profilo di rischio piuttosto elevato.

I fondi Atlante nascono da un approccio che cerca di sommare le professionalità del Team, le competenze di eccellenza presenti nel comitato di investimento, con dall’altra parte le grandi potenzialità di un grande “network” di relazioni con aziende grandi, medie, piccole, e con centri di ricerca e università. Il network ci aiuta molto anche nello screening. È molto importante avere contatti con manager di settori specifici, che possano essere intervistati e darci un parere. Ovviamente noi dobbiamo gestire questo con la massima trasparenza. Ogni volta chiediamo l’autorizzazione perché gestiamo informazioni riservate, ma riteniamo sia il miglior modo per fare due diligence efficaci, contenendo i costi. Una delle difficoltà di questo business è la necessità di comprendere prodotti e tecnologie complesse, senza avere una storia di risultati che ci possano dare un riscontro oggettivo sugli stessi. D’altra parte il taglio medio degli investimenti è piuttosto piccolo e non giustifica costi per due diligence molto strutturate effettuate da primarie società di consulenza.

I progetti di Start up che ci pervengono sono valutati da un comitato d’investimento, composto da persone con elevata competenza: manager di alto profilo interni al gruppo e tre personalità esterne al gruppo che coniugano conoscenze tecnologiche e manageriali: . Catia Bazzioli (amministratore delegato di Novamont), Alberto Sangiovanni Vincenteli (professore di elettronica a Berkeley e co-fondatore di 2 realtà di successo del software per il disegno dei microchip) e Claudio Carnevale (amministratore delegato e socio di controllo di Acotel).

La durata complessiva degli investimenti nelle aziende è stimata in 12 anni e 10 anni. Si tratta di un periodo considerevole, decisamente più ampio rispetto al Venture Capital classico. Quali sono state le motivazioni di questa scelta?

Bisogna distinguere tra durata del fondo e durata dell’investimento. Il fondo Atlante Ventures ha una durata d’investimento di 12 anni, il fondo Atlante Ventures Mezzogiorno ha invece una durata di 10 anni, fatta salva la possibilità in entrambi i casi di un periodo di grazia di ulteriori 3 anni. La durata del fondo è sempre più lunga di quella del singolo investimento. Nell’arco di vita di un fondo si fanno investimenti nei primi anni, possono essere i primi 4 nel caso del Atlante Ventures Mezzogiorno, o i primi 6 per il fondo Atlante Ventures. Ci deve poi essere abbastanza tempo per disinvestire anche gli investimenti che richiedono maggiore tempo. Alla fine la durata media di un investimento dovrebbe essere più breve dei 12 anni, comunque maggiore rispetto alla durata media degli investimenti di Private Equity tradizionali, perché il sostegno all’innovazione ha bisogno di un approccio di medio – lungo termine, di capitali pazienti.

Parlando del disinvestimento, quali possono essere le way out che vi siete preposti di seguire?

Il percorso più frequente riteniamo possa essere un’attività di cessione ad aziende di maggiori dimensioni, che possano essere interessate ad acquisire queste realtà per portarle nel loro interno. Non tralasciamo poi altre opportunità come le quotazioni. Da non dimenticare come canale di uscita il trasferimento a fondi che fanno Venture Capital in una fase successiva oppure fondi che fanno Private Equity dedicati ad aziende di piccole-medie dimensioni.

Quali sono le Start-Up presentate a questa richiesta di potenziale investimento?

Sono arrivate proposte essenzialmente dal mondo ICT, CleanTech, nuovi materiali, energie rinnovabili, molte iniziative nel settore biomedicale. Ci sono poi aziende in settori più tradizionali come la meccanica, però con approcci evoluti, e di business innovativi non necessariamente legati ad alte tecnologie. Per quanto riguarda lo stadio di vita direi che i casi sono molteplici: vere e proprie Start-Up, aziende che hanno già dei ricavi ed anche aziende già profittevoli con bisogno di capitale per lo sviluppo di nuove tecnologie.

Quali criteri sono discriminanti per la scelta delle imprese e le Start Up di impresa da finanziare all’interno dei vostri fondi?

Si lavora molto sul vantaggio competitivo, spesso un vantaggio tecnologico incentrato su brevetti. Come secondo filone si va ad esaminare la dimensione del mercato, e il posizionamento competitivo. E’ interessante vedere quali sono le dinamiche dei mercati ai quali l’azienda si rivolge, per valutare se ci sia una dimensione sufficientemente ampia da consentire la potenzialità di crescita, aspetto fondamentale per un investitore di Venture Capital. A noi interessano solo le realtà che che possono diventare grandi, con progetti ambiziosi di crescita. L’ultimo punto è verificare se l’azienda ha al suo interno le competenze per percorrere questo sentiero di crescita. E' molto frequente l’approccio di team prevalentemente formati da ricercatori o persone con un’esperienza scientifico-tecnologica; poco frequente è invece la presenza di tutte le competenze necessarie per lo sviluppo del business e la gestione finanziaria della società. Molto spesso noi richiediamo che si integri il team con le opportune figure o si delinei un opportuno percorso per l’inserimento di certe competenze.

In che modo si verifica e si gestiscono l’interazione e la partnership delle nuove iniziative imprenditoriali con aziende più mature?

Lo sviluppo di partnership nasce dal nostro tentativo di creare un network tra le aziende piccole che ci approcciano, e realtà medie-grandi che ruotano intorno al gruppo Intesa – SanPaolo. Lo facciamo fin dalla fase di due diligence, quando con il consenso delle aziende facciamo interviste a manager o esperti di settore che ci possano dare valutazioni sulla tecnologia o sulle potenzialità dell’approccio che ci viene proposto. Anche nella fase successiva all’investimento si fa molto lavoro di network, aiutando l’azienda a contattare interlocutori di gruppi più grandi, che possano essere possibili clienti o partner. Il fondo rivolto al Mezzogiorno è un progetto a lungo perseguito.

Quali differenze esistono rispetto al fondo Atlante?

La differenza fondamentale è l’area geografica (regioni del Mezzogiorno), e il settore (innovazione a contenuto digitale,sostanzialmente il mondo del ICT). C’è un ulteriore vincolo, il 60% delle realtà devono essere delle Start-Up, quindi prive di prodotti già sul mercato, questo dà una natura più Early Stage rispetto al fondo Atlante Ventures. Per tutto il resto l’approccio è il medesimo.

Quali sono i canali per accedere al round di finanziamento? Quali sono i punti chiave per poter presentare una proposta di successo ad uno dei due fondi?

Molto spesso viene mandato direttamente un business plan via mail, altre opportunità sono invece inviate da intermediari che aiutano le aziende a strutturare Business Plan e poi ad approcciare dei fondi. Altre volte ancora ci arrivano da altri fondi, che cercano coinvestitori per i loro progetti. Infine non sono da dimenticare le segnalazioni che ci arrivano all’interno del gruppo Intesa SanPaolo. Per esempio dalla Start Up Initiative o dall’Euro Desk, ossia il team che assiste le aziende che vogliono accedere a progetti quadro europei. Queste aziende, in grado di produrre progetti in inglese e di interfacciarsi con controparti di più paesi, sono spesso molto interessanti per noi. Inoltre arrivano segnalazioni dal Corporate & Investment Banking e dalla Banca dei Territori.

Ad oggi quali sono i numeri degli investimenti già realizzati?

Noi abbiamo visto un totale di circa 400 aziende. Alcune approfondite ed alcune semplicemente valutate sulla base dei documenti inviati. Ad oggi abbiamo fatto un primo investimento in IGEA, un’azienda che opera nel settore biomedicale,con un fatturato di circa 8 milioni, già profittevole. Siamo in fase avanzata di negoziazione di due nuovi investimenti e altri due sono già stati deliberati ed ora in fase di Due Diligence, nel campo biomedicale, elettronica ed ICT. Una di queste opportunità riguarda Atlante Ventures Mezzogiorno. Altre iniziative sono in fase di Stand-by, perché devono fare ancora una parte del percorso prima di poter essere oggetto di investimento.

Quali figure potrebbero aiutare le società / spin off a presentare un'offerta completa e premiante?

Noi abbiamo fatto un’esperienza con l’università di Milano creando la “Fondazione Filarete” che ha tra le sue attività quella di assistere le aziende generate dall’Università di Milano nel campo delle Life Sciences e aiutarle nello sviluppo del business. E’ sicuramente fondamentale lo sviluppo del sistema degli incubatori/acceleratori di impresa, di fondi Seed, Business Angels e consulenti che abbiano competenze di business e comprensione delle tecnologie.

Uno scoop da comunicare ?

Come detto, abbiamo quattro operazioni prossime alla chiusura, ma purtroppo non possiamo ancora svelarle 12/02/2010 TB finanzastraordinaria.it 2010

Domenica, 19 Settembre 2010 23:38

Intervista Gabriele Cappellini

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Gabriele_CappelliniGabriele Cappellini, nato a Pistoia, laureato con lode in scienze economiche bancarie presso l'Università di Siena è stato nominato Amministratore Delegato del costituendo Fondo Italiano di Investimento dedicato al sostegno della crescita delle piccole e medie imprese italiane. Un progetto importante che potrà contare sulla competenza e professionalità di Cappellini e in particolare sulla sua decennale esperienza alla guida di Mps Venture Sgr per cui ha lanciato e gestito ben sette fondi mobiliari chiusi per un valore complessivo di 450 milioni di Euro.

Il 18 Marzo ha visto la nascita del FONDO ITALIANO DI INVESTIMENTO per PMI, alla cui cerimonia inaugurale il Ministro Tremonti ha dichiarato: “È la cosa giusta al momento giusto, fatta nel modo giusto”. Quali obiettivi si pone l'sgr di cui lei e' l'amministratore delegato?

Le parole del Ministro sono la giusta metafora che ispirerà l’azione del Fondo: operare nella giusta direzione al fine di supportare i programmi di sviluppo ed aggregazione delle piccole e medie imprese italiane. Perché questo accada è necessario prima di tutto che siano ottenute tutte le autorizzazioni da parte delle Autorità di Vigilanza : stiamo operando in modo da bruciare le tappe per rendere operativo il Fondo nel minor tempo possibile. La pianificazione dell' attività di fatto dipendera' dall' approvazione di Banca d'Italia.

Quali saranno i prossimi passi e quando potrà essere operativo il Fondo?

Come ho detto, ci stiamo adoperando per partire il prima possibile, mi auguro che l 'autunno possa essere la stagione giusta. Le autorizzazioni potrebbero già pervenire tra settembre e ottobre. Abbiamo predisposto tutta la documentazione richiesta, compreso il programma di attività ed una bozza del regolamento affinchè Banca d’Italia possa valutare congiuntamente il progetto. Il Team di Investimento è gia stato Individuato? No, al momento stiamo avviando le ricerche per la costituzione dei team tramite Management Search per l'individuazione delle risorse che saranno dedicate agli investimenti diretti e Spencer & Stuart per il Team del fondo di fondi.

Il fondo avrà a disposizione una quota di investimento di partenza pari a 1.000 milioni di Euro versati dai 4 soggetti partecipanti (Cpd, Unicredit, Intesa Sanpaolo e Mps). Una solida partenza.

Assolutamente!. La cifra messa a disposizione oggi dai quattro istituti bancari da lei citati è assolutamente rilevante per il mercato italiano:valuteremo l' impatto che tale disponibilità potrà avere sia per gli investimenti diretti sia per quelli indiretti e quindi modulare l’eventuale ulteriore fund raising.

La seconda parte di fund raising è già stata pianificata?

Il budget di 3 miliardi di euro e' una quota certamente ambiziosa . Noi riteniamo che un first closing lo dovremo fare nei tempi più brevi possibile e quindi già sul primo miliardo per poi verificare ulteriori disponibilità sul mercato, da parte di altri investitori qualificati, entro i successivi 18.. Il fondo è dedicato alle piccole medie imprese.

Quali potrebbero essere i requisiti minimi perché una piccola media impresa possa essere presa in considerazione come investimento?

Ci muoveremo nei comparti: industriale, commerciale e di servizi cercando di individuare aziende che presentano un minimo di struttura tale da poter essere ricettive dell’attenzione di un fondo di private equity. Certamente non faremo operazioni con leva esasperata (è uno dei problemi a cui vogliamo dare un preciso indirizzo). Il Fondo farà prevalentemente operazioni di minoranza e non si occuperà di imprese in fase di start up nè in crisi. Tuttavia potremo valutare operazioni di management buy-in e buy-out con l’obiettivo di garantire la continuità aziendale con il supporto di validi e comprovati manager. Il fondo si dedicherà a tutte le imprese che abbiano interessanti prospettive di sviluppo ed aggregazione, anche nel caso in cui necessitino di passaggi generazionali. Vogliamo essere più vicini possibile alle problematiche dell’impresa, valutando limiti temporali non troppo stringenti per il nostra uscita e neppure obiettivi di redditività molto elevati. Cercheremo insomma di dare assistenza a tutto tondo, supportando l'azienda anche nella parte di consulenza finanziaria, componente che spesso manca perchè l'imprenditore è concentrato su altre tematiche.

Le piccole medie imprese in cui investire attraverso quali canali perverranno?

I canali saranno i piu' disparati. Abbiamo già a disposizione alcuni database che andremo ad arricchire. Lavoreremo in team per identificare le imprese oggetto dell'investimento. Un aiuto molto importante potrà essere dato a livello regionale dalle varie associazioni di categoria.

Relativamente alla diversificazione geografica: dato che il Fondo avrà necessità di effettuare uno scouting su tutto il territorio italiano, sarà contemplato un team localizzato in sedi regionali?

Non escludo la costituzione di sedi regionali distaccate: certamente dovremo avere dei riferimenti territoriali, in particolare una struttura che guardi con attenzione al centro sud. Anche in questo senso il supporto delle associazioni di categoria che sono organizzate secondo una presenza territoriale ramificata potrà essere estremamente importante.

La soglia di investimento è costituita da aziende che abbiano un fatturato interessante per fondi maturi, a partire da 10 milioni di Euro. Quali prospettive di crescita e di sviluppo identifica per le aziende che non rientrano in questo range di fatturato e che sono oggetto di interesse di fondi di Venture Capital, che in Italia hanno avuto più difficoltà di affermazione?

La finanza aziendale non si risolve con un singolo intervento. Non sempre un fondo di private equity si dimostra idoneo per le piccole aziende: costruire un 'operazione di private equity su una azienda che fattura pochi milioni di Euro è estremamente oneroso.: generalmente per effettuare un'operazione di private equity nel settore expansion l'azienda deve avere requisiti seppur minimi di struttura e di fatturato.

Tuttavia in Italia il segmento del Venture Capital ha incontrato oggettive difficoltà soprattutto a fungere da collante e trade d'union tra l'investimento dei business angels e quello del fondo di Private Equity. Quali saranno le tipologie di investimento seguite, fondo dei fondi, coinvestimento?

Non è ancora stato deliberato, comunque penso si farà ricorso ad entrambe le modalità.

Il profilo del rischio industriale sostenuto dagli investimenti che il Fondo effettuerà è definito più elevato rispetto a quello tradizionale, tale scelta sarà riflessa anche nella scelta dei settori su cui investire?

Il profilo di rischio in questa fase economica è abbastanza elevato per tutti poiché il futuro rappresenta un'incognita, tuttavia gli imprenditori bravi sanno sempre trovare soluzioni adeguate e condivisibili. Sicuramente il fondo potrà garantire agli imprenditori degli interventi che possano agevolare lo sviluppo dell'impresa anche grazie alla richiesta di una redditività piu' contenuta e a tempi meno stringenti per la realizzazione degli obiettivi. Relativamente al settore di rischio industriale va anche sottolineato che le imprese oggi si trovano a dover rincorrere costantemente l'innovazione e l'avanzamento tecnologico: elementi che, di fatto, richiedono continui investimenti e quindi un continuo impiego di risorse “straordinarie”. La continuità e in qualche modo la costanza dei processi di investimento in beni materiali ed immateriali , richiedono all’azienda forme di finanziamento sempre più a lungo termine e sopratutto una maggiore consistenza di capitale proprio necessario per mantenere un adeguato equilibrio finanziario.

Una buona parte dell'investimento del fondo dovrebbe essere dedicato alle imprese nel settore manifatturiero ci può confermare questo dato?

In realtà non ci sarà una preponderanza dell'investimento solo in un settore ma saranno contemplati tutti i settori che si adattano per dimensioni di fatturato alle operazioni di private equity. Pertanto saranno le caratteristiche dell'impresa in termini di prospettive evolutive, fatturato, management a determinare l'investimento più che il settore di provenienza.

Relativamente al Private Equity, secondo lei è possibile che i fondi fuoriescano dalla crisi con una maggiore specializzazione settoriale quindi investendo in determinati settori industriali?

Dipende da cosa intende per specializzazione. Se intendiamo un investimento da parte di un fondo in un settore specifico questa osservazione non mi trova in accordo: il fondo di private equity per sua natura deve diversificare l'investimento poiché fare l'ingresso in più società dello stesso settore potrebbe causare un conflitto di interessi, dipende da quanto siano “distanti” le aziende coinvolte nell'operazione di private equity. Viceversa si possono creare dei fondi che hanno dei comparti che si dedicano con maggiore attenzione all'analisi di diversi settori produttivi ma dovranno comunque conservare una competenza ampia.

La normativa 2001 sulle sgr ha significato una attenzione politica atta a spostare l'intervento economico dalle forme di partecipazione-contribuzione verso un modello piu' innovativo. Un modello che è nato con grandi speranze ma che spesso non ha portato risultati immediati.Obiettivo di questa sgr è non perdere neanche un euro. Riusciremo a ridare fiducia agli investitori?

La normativa dei fondi mobiliari chiusi di diritto italiano risale al '93 ed è stata successivamente rivista anche per adeguare l’operatività dei fondi allo standard europeo, ad esempio in relazione alla identificazione delle varie tipologie dinvestitori nonchè alla possibilità da parte degli operatori di richiamare le quote sottoscritte (committment) progressivamente all'avanzamento degli investimenti effettuati. La nostra SGR si rivolge agli investitori qualificati e si pone l’obiettivo di gestire in maniera seria, qualificata ed economica gli investimenti,in aziende di piccole e medie dimensioni in fase di sviluppo.

Mercoledì, 13 Ottobre 2010 01:00

Intervista Gianfranco Piantoni

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Professor Gianfranco Piantoni - Studio Ambrosetti e Sda Bocconi Gianfranco_Piantoni_FILEminimizerGianfranco Piantoni collabora con la SDA Bocconi come coordinatore del Master FIFA. Da diversi anni lavora con il Gruppo Ambrosetti su progetti nell’ambito della strategia aziendale e del rapporto famiglia/impresa. In particolare è coordinatore di “Leader del futuro”, progetto dedicato ad alti potenziali. Professore di Strategia Aziendale presso la Scuola di Direzione Aziendale dell’Università L. Bocconi e direttore del master serale presso la stessa Università, ha insegnato all’Università di Bologna e al CRC di Parigi: Con la Comunità Europea ha diretto alcuni progetti in Argentina, Cile, Paraguay e Perù.

Spesso ci siamo imbattuti anche su segnalazione dei nostri professionisti iscritti, nel tema del passaggio generazionale. Come le seconde generazioni possono essere aiutate ad entrare nella vita dell’impresa?

Il passaggio dalla prima generazione (quella dei fondatori) alla seconda, se il business è avviato e forte, non crea problemi. L’inserimento avviene senza troppe preoccupazioni e garantisce anche una cultura più “giovane”all’impresa. Se invece l’andamento della società è difficoltoso, subentrano alcune problematiche. Non va neppure trascurata la volontà della seconda generazione di innovare l’azienda. Un tentativo questo che spesso trova ostacolo nella prima generazione, più incline a preservare ciò che si è creato temendo uno snaturamento rispetto alle origini.

Lei ha parlato di una differenza culturale. Ma al di là degli studi più approfonditi che possono caratterizzare la seconda generazione, che tipologia di formazione si può consigliare ai giovani che facciano il loro ingresso in azienda?

La formazione investe un ruolo rilevante e in particolare quando ci riferiamo alla terza generazione. Quando ci sono più nipoti che potrebbero entrare in azienda è necessario che si capisca chi potrà entrare e che cosa fare. Spesso è necessaria una selezione. Ci sono realtà aziendali che a fronte di cinque eredi nella seconda generazione arrivano a 15 nella terza. A questo punto se non si agisce con una strategia precisa e lungimirante l’impresa si può sciogliere perché ci sono posizioni di controllo già ricoperte da eredi e quindi i manager esterni non vedono alcuna attrattività di carriera. Capita però che ci siano realtà oculate in cui il passaggio venga pianificato per tempo, magari alternando la guida dell’azienda da parte di un membro della famiglia prima e di un manager esterno poi. In questo modo partecipando per gradi alla vita dell’impresa i giovani avranno la possibilità di imparare sul campo, all’interno dell’azienda, il suo funzionamento, i suoi meccanismi per poi poter portare ulteriore valore aggiunto.

L’intervento di un fondo di private equity può però essere una soluzione alternativa per il passaggio generazionale. Secondo lei è più interessante come ipotesi per tutelare l’azienda in una fase della sua vita e preparare al contempo la seconda generazione?

Il fondo generalmente si presenta quando subentrano problemi di eccessivo ingrandimento che quindi comportano una necessità di maggiori risorse finanziarie. Nella mia idea però l’ingresso del fondo preclude la possibilità al rientro della famiglia.

Quando è necessario l’ingresso di un fondo? E quando al fondo conviene investire in una società?

I fondi entrano quando c’è una tensione finanziaria e quindi il business si è inceppato, quando l’azienda ha bisogno di risorse in un percorso di internazionalizzazione o crescita, quando ci sono più quote e liti tra i singoli detentori. In particolare quando l’impresa è “povera” e la famiglia è ricca, si crea una grande occasione per il fondo perché significa che il business rende. La grande fortuna dell’investimento di un fondo è trovare una azienda ben strutturata ma senza un erede diretto. Pertanto ci sono due differenti soluzioni dinanzi alle quali si trova il fondo: una azienda bella ma senza soldi, una azienda bella ma senza eredi. In entrambi i casi il fondo entra in azienda. Ma spesso ci sono imprenditori ostativi all’ingresso di una “terza parte” in società… L’80% delle aziende in Italia è nata perché siano poi i figli a portale avanti e in alcuni casi le famiglie non accettano neanche un intervento di consulenza esterno.

In Italia i fondi di Private Equity sono già entrati nel settore della consulenza come per esempio è successo in Inghilterra?

Per la mia percezione non è ancora accaduto, è raro che succeda anche nelle imprese che seguo io per cui curo una consulenza legata ai patti di famiglia.

Secondo lei non è un controsenso che in questo periodo i fondi di Private Equity, che fino al primo semestre 2008 sono cresciuti, ora che si presentano delle grandi occasioni siano immobili?

I Fondi si stanno chiedendo quanto durerà questa fase. Per loro è importante determinare fin dall’inizio dell’ingresso in società la strategia di way out e la risposta a questa domanda non è da poco: 6 anni, 6 mesi? Generalmente la loro permanenza in azienda è pianificata nei tre anni ma in questo periodo è necessario pensare ad un prolungamento. Certamente in questa fase si presentano grandi opportunità e un punto interrogativo sulle minacce connesse, mentre di solito ci sono buone opportunità e minime minacce.

Come sono cambiate, se cambiamento c’è stato, le strategie della vostra consulenza in relazione al periodo di crisi che stiamo vivendo?

Fortunatamente la crisi non ha intaccato la nostra struttura. Anche nell’ambito della consulenza bancaria, che tuttavia rappresenta una percentuale veramente esigua del nostro intervento, si può verificare una flessione. Ma è anche vero che proprio in questi momenti una azione di consulenza possa essere più necessaria per trovare la cura.

Quanto tempo durerà ancora la crisi economica internazionale?

E’ probabile che a metà 2009 ci sia una ripresa. Ma non siamo ancora arrivati al fondo, non ne abbiamo ancora preso coscienza.

Quali prospettive vede a livello nazionale ed internazionale per uscire dalla crisi?

Il debito pubblico dell’America è uguale al suo prodotto interno lordo e più di un terzo del debito è nei confronti della Cina. Per risolvere questo grosso problema di liquidità secondo me Obama andrà in Cina per ottenere un prestito. E una possibile negoziazione potrebbe riguardare liquidità in cambio di tecnologia. Se questo avverrà ci potrà essere una ripresa più veloce.

Un consiglio a finanzastraordinaria.it per rispondere in modo sempre più concreto alle esigenze dei professionisti di corporate finance.

Fidarsi sempre del più bravo. E chiedersi come essere i più bravi in quello che si fa. Sono parole che ho imparato a mia volta da un grande imprenditore come Apollinare Veronesi. Non a caso la sua azienda è alla terza generazione.

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