Mecenatismo

Mecenatismo (17)

Domenica, 19 Settembre 2010 22:27

Una donna tra i banchieri, il ritratto di Pia de’ Tolomei

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Pia_de_Tolomei_FILEminimizer"Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via»,
132 seguitò 'l terzo spirito al secondo,

«ricorditi di me, che son la Pia:
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che 'nnanellata pria
136 disposando m'avea con la sua gemma»."

Termina così con la preghiera accorata de “la Pia” il Canto V del Purgatorio in cui Dante si trova nell’Antipurgatorio ad incontrare nel corso del suo viaggio le anime di coloro che morirono di morte violenta. I “negligenti” qui riuniti, devono attendere di poter iniziare il percorso di espiazione a loro destinato prima di poter accedere all’agoniato Paradiso.

E’ in questo clima di attesa che il sommo poeta fiorentino s’imbatte nella preghiera quasi sussurrata con dolce fretta dalla senese Pia de’ Tolomei, una delle figure femminili più celebrate dagli studi sulla Divina Commedia.

Figura: Stefano Ussi, La Pia de' Tolomei olio su tela Milano, Collezione privata

Tutta la sua storia è sapientemente riassunta nel dittico “Siena mi fè, disfecemi Maremma: / salsi colui che ‘nnanellata pria”. Una donna che con la consueta pennellata poetica Dante ci accenna, ma che in realtà con altrettanta fierezza la sua poesia consegna all’attenzione dei lettori, dei critici e della storia.

Ma chi è Pia? La sua famiglia trae addirittura origine dalla leggenda che scava nel tempo a ritroso fino all’antica Roma. La tradizione mitologica ci narra di un Tolomeo XV che fu figlio dell’unione tra Giulio Cesare e Cleopatra. La sorte di Tolomeo fu certamente più fortunata di quella della sua discendente poiché, benché condannato a morte certa dalle mire di Ottaviano, nipote di Cesare e dunque erede designato alla successione in mancanza di eredi diretti, fu salvato da Marco Antonio che sacrificò un altro cugino in tutto e per tutto simile a Tolomeo e nascose questo ultimo in terra di Maremma.

Capostipite di una dinastia tra le più importanti di Siena, erede leggendario del sangue del grande condottiero romano, Tolomeo XV è l’avo più lontano della nobile Pia. Ma del ritratto che di lei Dante ci consegna, la nobiltà di “lignaggio” neppure s’accenna nelle parole di colei che dimentica il suo cognome nel breve tempo del suo discorso. Se dovessimo, facendo fede alla leggenda, rifarci alla modalità latina di annoverare i nomi, dovremmo osservare che al cognome (il terzo) e al nome della casata (il secondo), la donna preferisce il “prenome” ossia il nome dell’individuo.

Pia_FILEminimizerFigura: Achille Della Croce, Pia de'Tolomei marmo Napoli, Museo di Capodimonte

Pia dunque come persona, solo e soltanto persona e non casato, non famiglia. Per quale motivo? La famiglia de’ Tolomei era una delle più illustri di tutta Siena: mercanti e banchieri, possessori di importanti dimore tra cui Palazzo Tolomei, ma anche beati di grande importanza come Bernardo de’ Tolomei che fondò il monastero di Monte Oliveto Maggiore.

La storia ci narra che Pia, la cui dimora si narra sia tuttora visibile poco distante da Piazza del Campo, fu maritata ben due volte. In seguito alla prematura morte del primo marito cavaliere, fu data in sposa ad un altro importantissimo casato maremmano nella figura di Nello dei Pannocchieschi. Fu questo un matrimonio infelice che, portò alla morte la donna in circostanze paragonabili ad un moderno giallo. Diverse le teorie, certo il mandante. Se la morte non fu per mano diretta di Nello, certamente lo fu per sua idea. Così che fosse per avvelenamento o per una accidentale caduta dalla finestra più alta del castello, la morte si portò via la donna tra le mura di Castel di Pietra.

Trista sorte secondo le leggende perseguitò anche il consorte Nello che nonostante si fosse agevolmente risposato, non potè godersi a lungo l’erede nato da questa unione: precocemente strappato alla vita appena dodicenne annegato in un pozzo.

Pia sussurra la sua parte di storia con poche parole, molto intense. Dimenticando il casato, ricordando l’atroce delitto e il suo artefice. Una donna spogliata del corpo e ferita nell’anima ma che riesce a realizzare la sua preghiera.

Ancora oggi infatti le sue ultime parole rimangono impresse nello scrigno più prezioso della nostra produzione poetica. L’ispirazione dantesca inoltre fu ripresa dall’opera lirica “Pia de’ Tolomei” composta da Gaetano Donizetti su libretto di Salvadore Cammarano tra il 1836 e il 1837.

"Sposo, ah! tronca ogni dimora...

al mio sen, deh vola o Nello;
dimmi: t'amo... ed all'avello
questo accento mi torrà.

Ah! La Pia, se indugi ancora

preda fia d'acerba morte,
ed al bacio del consorte
più risponder non potrà."



Lunedì, 01 Novembre 2010 10:58

Due imperi a confronto

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due imperi 1

due imperi 2

Milano crocevia di popoli, culture e tradizioni. Un ruolo che fin dall’antichità ha reso Mediolanum un importante via di comunicazione e ne ha fatto crescere il prestigio. Ancora oggi Milano decide di essere crocevia ma stavolta del passato, un passato che forse visto più da vicino ci permetterà di comprendere la grandezza di due popoli, di due imperi: l’impero romano e l’impero cinese. Palazzo Reale ospita una straordinaria mostra che congiunge oltre trecento opere scultoree, monili, mosaici, che raccontano la grandezza di due civiltà lontane tra loro ma egualmente magnificenti. Inconfondibili i marmi romani, con i tratti caratteristici, levigati come da un Canova ante litteram, ad essi fanno seguito le maestose statue di guerrieri cinesi in terracotta. Impressionanti i monili e gli attrezzi che riconosciamo perché simili a quelli ancora in uso, imperdibile l’armatura funebre tempestata di giada e oro e la statua romana che intarsia marmi di diverso colore e natura per scindere il candido volto dal mantello purpureo.

TB 16/04/10

Lunedì, 03 Gennaio 2011 16:18

Dalì ritorna a Milano

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Dali_a_MilanoIl più grande surrealista fa ritorno a Milano. Da quel lontano 1954 quando la sala delle Cariatidi ospitò l’ultima mostra meneghina dell’artista è passato del tempo, ma il fascino, l’eccezionale e coinvolgente atmosfera che permeano le sue opere, ora come allora incantano il pubblico.

L’incontro avviene nel tema del paesaggio, meno sondato rispetto ad altri caratteristici dell’opera, ma fortemente evocativo. Il paesaggio diventa così filtro per arrivare a sé, guardarsi dentro riflessi nelle opere. Ma è anche modo di osservare oltre, ciò che ci circonda, quello che le cose ci comunicano.

Attribuire significati a noi e a ciò che è il non-noi. Ci parla un paesaggio introspettivo, quello dell’inconscio e della dimensione più inesplorata autentica e essenziale dell’essere umano. Ci parla un paesaggio dell’assenza, in cui la dimensione- figura umana diventa sempre più evanescente lasciando la comunicazione a ciò che è oltre e fuori l’uomo. Fino ad arrivare all’epilogo che è commistione tra memorie, metafisica e modernità.

Salvador Dalì , il sogno si avvicina – Palazzo Reale dal 22 settembre 2010 al 30 gennaio 2011.

TB 22/09/2010

Lunedì, 03 Gennaio 2011 16:46

Museo del '900

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BoccioniSi è inaugurato il 9 dicembre un vero tempio dell’arte che il secolo scorso ha consegnato alla nostra nazione. Il museo del ‘900 apre le porte nella splendida e rinnovata cornice dell’arengario che regala ai visitatori numerosi splendidi scorci della Milano illuminata per accogliere le feste di Natale. Le luci degli interni ricercate, talora soffuse, talora complici delle installazioni per creare atmosfere coinvolgenti, si sommano alle luci degli esterni che sembrano opere dipinte sulle finestre: scorci delle guglie, prospettive della galleria. Un quadro nel quadro che dedica un’aura ancora più densa di significato all’eccellenza del genio che si dipana tra i passi del visitatore.

Un visitatore che fin dall’ingresso è chiamato ad un’esperienza totalizzante di coesione con l’arte, con il sentire che ha animato i pittori, i pittori – poeti, gli scultori e che ancora (e questa è l’arte sublime) trasuda in ogni capolavoro esposto e tocca l’animo di chi l’osserva suggestionandolo in maniera emotivamente personale. Un museo volutamente sperimentaleFontana che per desiderio stesso del comitato scientifico composto tra gli altri da Massimo Accarisi, direttore Centrale Cultura, Claudio Salsi, direttore Settore Musei, Marina Pugliese, direttore del Progetto e da Vicente Todolì, direttore del museo Tate Modern di Londra, è in continua evoluzione espositiva.

Grazie a questo cuore pulsante il progetto permetterà di ospitare accanto a mostri sacri dell’arte (Boccioni, Carrà, De Chirico, Fontana etc) anche giovani talenti emergenti. Eccezionali i capolavori di Boccioni tra cui la scultura Forme uniche della continuità nello spazio (1913) e il quadro “Quelli che restano” e il soffitto realizzato da Fontana nel 1956 per l’Hotel del Golfo a Procchio, all’Isola d'Elba. Si tratta di un’opera meravigliosa che il Ministero dei Beni e Attività Culturali ha restaurato e concesso in deposito al Comune di Milano”, come annunciato dal Sindaco Letizia Moratti. 

TB 09/12/2010

Venerdì, 07 Gennaio 2011 00:07

Roma. La pittura dell'impero

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Pittura_romanaLe storiche scuderie del Quirinale si apprestano ad ospitare una delle mostre più interessanti di questa stagione. Grazie all’abile regia di Luca Ronconi e al contributo di grandi musei che hanno permesso la recollecta delle opere. Tutti i visitatori potranno calarsi nella vita degli antichi romani e del loro impero dalla nascita con Giulio Cesare, mediante l’excursus pittorico offerto da “Roma. La pittura di un impero”. Le linee dei volti, quelle delle nature morte che ornavano le domus delle famiglie patrizie rapiscono ancora oggi gli sguardi per portarli in quel lontanissimo I sec. A.C. quando la grande Roma incominciò con il suo condottiero l’espansione. Tra grandi affreschi e rappresentazioni della scuola pittorica romana corrono i secoli in oltre 100 opere fino ad arrivare al V sec. D.C. Un viaggio nel tempo imperdibile, per scoprire radici di una grandezza che fu unica come quella dell’Urbe.

“Roma. La pittura di un impero” - Roma, Scuderie del Quirinale – Dal 24 Settembre 2009 fino al 17 Gennaio 2010

TB finanzastraordinaria 24/09/09

Domenica, 16 Gennaio 2011 21:39

Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze

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Fasto_e_RagioneSi è aperta il 29 maggio presso la Galleria degli Uffizi e accompagnerà tutti gli appassionati d’arte ancora per in proroga fino al 13 dicembre anzichè al 30 settembre, la mostra dedicata alla Firenze settecentesca “Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze”. Nata con il patronato del Presidente della Repubblica e promossa dal Ministero dei Beni e le attività Culturali oltre che dalla Galleria degli Uffizi e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, la mostra conta tra i suoi artisti Matteo Bonechi, Ranieri del Pace, Giovanni Battista Foggini.

Un viaggio che ripercorre un secolo importante per la vita della città segnato dall’epilogo della dinastia medicea che tuttavia seppe portare anche nel momento finale, un contributo artistico di notevole pregio alla città chiamando artisti come Giuseppe Maria Crespi ad esprimere il proprio estro poetico. Opere, dipinti, sculture e arredi che ci parlano di un passaggio politico, epocale, artistico e culturale: il secolo dei lumi si affaccia in Europa, il gusto barocco si scontra con le linee più conservatrici del neoclassicismo. Una mostra per riflettere godendosi il panorama di un’arte calata nel tempio dell’arte: la Galleria degli Uffizi.

TB 22/09/2009

Lunedì, 17 Gennaio 2011 21:34

Pietro Giromini

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Pietro_Giromini1Incontriamo Pietro Giromini, giovane architetto borgomanerese ospite della Galleria d'arte contemporanea Eventinove della omonima città. Il giovane artista lancia il volto oltre la superficie giocando nella sua scomposizione. Le frazioni del viso ordinatamente fuoriescono da resine grigie che all'occhio dell'osservatore sembrano pareti di roccia che si frangono e infrangono il viso.

Una visione specularmente metaforica, una duplicità di visione della divisione.
Il volto fuoriesce dalla superficie e da questo moto si rompe in frammenti che viaggiano verso lo spazio. Il volto non identificato, anonimo, in cui ognuno rivede il proprio mondo emotivo. E' il volto dei nostri giorni che incontra il duro impatto con i dolori, gli ostacoli e li supera diventando altro da sè, trasformandosi per poi ricomporsi al termine del moto (interiore) imposto dalla prova.

E' un movimento che scompone, come ci spiega Giromini "senza assurgere ad una valenza totalmente negativa come può essere inizialmente percepito il meccanismo di divisione, disgregazione. La forma che ho voluto dare, peraltro sempre differente da un'opera all'altra, è quella di un divenire che passando attraverso la vetroresina e quasi staccandosene con forza (seppur non del tutto) provoca un cambiamento."

Il volto che lei ha raffigurato è privo di linee di riconoscibilità, proprio per questo sembra universale ma contemporaneamente estremamente riconducibile all'individualità del singolo davanti alle "prove"...

"Il volto è volutamente stilizzato. Ciò che parla in quest'opera è essenzialmente la crasi tra il movimento di fuoriuscita dalla materia e ciò che da esso si genera. Pertanto è un concetto tanto universale di passaggio, nel senso di divenire cioè diventare altro, tanto è individuale: l'emozione che viene catturata dall'occhio dell'osservatore è sua, unica."

Un'opera che ricorda la stilizzazione di Mimmo Paladino, c'è qualche ispirazione?

Pietro_Giromini2"Certamente Paladino ha un influsso sulla mia arte. Le sue figure così essenziali eppure proprio per questo esaltatamente comunicative rappresentano un punto di arrivo di un percorso artistico importante. Figure che parlano con linee nitide nella loro generalità di forme (possono essere corpi di chiunque ma in realtà sono corpi che hanno un messaggio e una emotività estremi e precisi)."

Se da un lato è movimento che scompone, dall'altro lato è la vetroresina a partorire un mondo, da questa sembiante di roccia nasce la vita così come dalle mani dello scultore nascono i frammenti. Da pietra nasce arte, frammentata come la realtà che ci circonda, piena di sollecitazioni che impattano i nostri sensi confondendoli. Riuscire a ricomporre il caos è il compito che l'autore consegna all'osservatore. Chi guarda coglie anche la propria de-frammentazione, confusione, sensibilità.

L'opera diventa uno specchio di autocoscienza che con la robustezza della materia e la forza del movimento, scarno nelle linee ma violento nella comunicazione, investe l'osservatore chiamato a riordinare il proprio cosmo o più semplicemente a prenderne visione irrompente, ingombrante.

Uno contro molti che è molti contro uno.

TB 30/08/2010

Mercoledì, 19 Ottobre 2011 23:38

Sironi: la Vittoria Alata a Villa Necchi Campiglio

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Sironi, la Vittoria alata a Villa Necchi Campiglio

Sironi_Vittoria_AlataVia Mozart ospita una perla nel cuore di Milano: villa Necchi Campiglio.

Costruita tra il 1932 e il 1935 questa splendida opera architettonica dimostra l’estro di Piero Portaluppi che le dona piacevoli elementi in stile Decò. Oggi la villa si veste di un’ulteriore fascino ospitando la mostra curata da Elena pontiggia in onore del cinquantesimo anno della morte di Mario Sironi.

A partire dal 30 settembre e fino al 6 novembre Fai promuove “Sironi: la guerra, la vittoria, il dramma” permetterà di conoscere in 43 opere tratte dalle collezioni Isolabella e Gian Ferrari, uno degli artisti di spicco del primo novecento italiano. Dopo aver interrotto gli studi di ingegneria, Sironi nel 1913 aderì al movimento futurista regalando alla corrente opere fortemente volumetriche. La sua tensione artistica trovò diverse esplicazioni così che Sironi spaziò attraverso scenografia, pittura murale fino a diventare un baluardo del ritorno verso l’ispirazione decorativa classica.

Una delle opere più apprezzate, la tela della “Vittoria alata” realizzata nel 1935 ancora oggi lascia lo spettatore ammirato per la straordinaria plasticità e la forza propulsiva del movimento racchiusa in forme volumetriche parallelepipede. Le linee rette faticano a rimanere diritte davanti all’occhio che le immagina già arrotondarsi in un dinamismo unico. Proprio la rigidità spezzata dagli incroci delle linee dona all’opera una forza espressiva unica, in cui lo spettatore è testimone di un movimento intenso, sicuro, inarrestabile e per questo vittorioso.

TB Finanza Straordinaria 30/09/2011

Lunedì, 10 Settembre 2012 21:52

Intervista Elisabeth Aro

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Elizabeth Aro, artista poliedrica nata a Buenos Aires, cittadina del mondo ma fortemente latina: le sue scelte di vita l’hanno portata a stabilirsi in Spagna per 15 anni dal 1990 al 2005 e poi ad approdare in Italia.

Mondo_feltroE l’Italia sarà la terra definitiva o una tappa del percorso? E’ una domanda che le fa scaturire un sorriso: “Speriamo di no, vorrebbe dire che avrei smesso di ricercare”. Come un moderno Diogene, con il sacro fuoco dell’arte anche Elizabeth cerca, indaga, trattiene emozioni per poi farle scaturire secondo il suo estro nell’opera d’arte. E’ stata la prima donna ad esporre una personale al Reina Sophia di Buenos Aires, ha allestito mostre in tutto il mondo (dagli Stati Uniti all’America Latina, in Europa, in Egitto).

Il suo mondo artistico evolve attraverso diversi materiali, ma è sempre accattivante e caloroso, anche quando spinge ad un impatto duro come un mondo che sembra ardere ai piedi, o si frammenta in mille giochi di specchi. Questo perché dentro quel fuoco, dentro quel percorso esistenziale, quella ricerca, c’è un animo fiducioso nei confronti della natura dell’essere umano, portato sì a sbagliare, distruggere, ma anche illuminato nel suo intimo dal bene, da una cognizione ancestralmente positiva della vita e del suo valore.

Conoscere Elizabeth è come aprire una porta verso una nuova dimensione: un sorriso non ancora disincantato, forte, contagioso, sprigiona un’armonia, una gioia e una positività anche al di fuori della sua opera d’arte.

Come è iniziata la sua carriera artistica?

Mi sono diplomata in pittura a Buenos Aires, ho dipinto per diversi anni ma poi ho coltivato altre forme artistiche perché sentivo di non avere avuto modo di esprimere il mio mondo, la mia visione solo attraverso una tela.

Lei ha sperimentato e sperimenta tuttora diversi materiali: dai tessuti broccati al feltro, dal vetro al metallo. Ha preferito spostarsi verso un’arte tridimensionale?

Negli ultimi anni soprattutto ho privilegiato il mondo degli oggetti e degli spazi che li circondano. Conferiscono un forte impatto emotivo, comunicativo e danno a chi li osserva una capacità di interazione con l’immagine decisamente più intensa.

Vedendo un’opera come “The World is at your feet” (2007) l’intensità espressiva è certamente potenziata dalla posizione del tessuto oltre che dal colore. Il rosso ardente dona movimento al mondo ma che contemporaneamente sembra andare a fuoco da un lato e nascere dal magma iniziale dall’altro.

La percezione è molto importante nelle mie opere. E lo spettatore non è inattivo, ma è chiamato ad un “lavoro” concettuale, emozionale, interpretativo. Non è avulso, è partecipe: il mio tentativo è quello di provocare reazioni e dimostrare anche la complessità degli stati d’animo, la ricchezza e varietà che è “interna” ad ogni essere umano.

Lo spettatore è parte dell’opera anche in una delle sue ultime realizzazioni, esposta a Valencia proprio la scorsa settimana e intitolata “Mirror World”, un’installazione particolarmente evocativa.Mirror_world

Lo spettatore è a metà: dietro di sé ha un globo terrestre intatto che però si riflette (insieme a lui e al suo punto di osservazione) in un planisfero posto a terra e fatto di specchi frantumati. In questo caso le forme riflettono nel vero senso del termine la complessità del nostro universo emotivo e lo rendono “visibile”. Il mondo di specchi non è “rotto” ma frammentato, come le rappresentazioni emotive che ciascuno di noi riproduce, uniche e diverse. Per cui questa superficie non è rotta ma è la raffigurazione di una molteplicità di mondi interiori.

La rottura esteriore è una rappresentazione di una complessità interiore, come se la raffigurazione materica riuscisse a svelare meglio qualcosa che rimane confuso perché fatto di numerose emozioni. L’arte è come in un’interpretazione neoclassica, una forma di catarsi per liberarsi dalle emozioni e arrivare ad uno stato di quiete “superiore”?

Provocare una catarsi è un esperimento artisticamente interessante. Sarebbe come sciogliere un “nodo interiore” attraverso una materializzazione dell’emozione interna, una sua esternalizzazione per meglio comprenderla, assorbirla e superarla. Superarla nel senso di elevarsi al di sopra e raggiungere una pace. E’ un’ambizione quella di provocare una catarsi attraverso l’arte. Alcuni problemi ci comprimono e non ci permettono di vedere oltre, ma riuscendo a distogliere la nebbia anche la nostra visione delle cose e della vita assumerebbe tutta un’altra proporzione.

E’ un’arte che cambia, si evolve e spesso rimane “estemporanea” perché non sopravvive all’installazione. Non è un dolore anche questo da superare per un artista?

Le opere spesso hanno così tanta espressività e impatto perché sono poste nel luogo giusto. Ed è giusto che in alcuni casi “non sopravvivano” al luogo, rimangano nel ricordo. Mi interessa dimostrare anche come siamo in grado di portare avanti un cambiamento, gestirlo soprattutto se è inevitabile. La mia arte stessa è cambiata nel corso del tempo perché sono maturati sentimenti, emozioni, riflessioni che per me sono come degli accessori della nostra vita. Senza non avremmo la capacità di andare oltre, capire, migliorare.

Lei ora ha scelto di fare tappa nel suo viaggio in Italia. E di affrontare una nuova avventura che è la costituzione di una Associazione in un territorio dal paesaggio fortemente artistico.

I miei nonni erano europei, spagnoli e italiani. Dunque anche nel mio percorso “a ritroso” sto recuperando le mie radici. Qui sto portando avanti la mia ricerca artistica e contemporaneamente ho deciso di far nascere una Associazione culturale “Big Bang” che possa valorizzare il territorio e i suoi artisti. Abbiamo sede in una zona splendida tra il lago Maggiore e d’Orta, in Piemonte. Abbiamo già realizzato diverse iniziative portando artisti italiani ad esporre in diverse parti d’Europa, ospiti di altri artisti. Un sodalizio, uno scambio di opportunità.

Il Piemonte è la sua terra “d’adozione”, ma lei ha ricambiato in maniera artistica…

Ho avuto l’onore di rappresentare il Piemonte nel 2009 durante una mostra a Il Cairo in cui ho realizzato le mie opere con tessuti prodotti nella regione.

La sua sperimentazione ha “toccato” diversi materiali, qual è l’opera che le manca e le piacerebbe realizzare nel futuro? Sicuramente una scultura urbana.

Non saprei ancora immaginarla ma mi piacerebbe realizzarne una.

Il mondo moderno è in una fase storica critica, se dovesse farne una fotografia istantanea quale immagine gli dedicherebbe?

Qualcosa di floreale. Tutto il negativo che ci viene comunicato colpisce più delle notizie positive perché noi come esseri umani non siamo capaci di introiettare le emozioni così violente. Ma dobbiamo guardare avanti e fare lo sforzo di cogliere anche in questa fase difficile ciò che di buono accade intorno a noi.

TB Gennaio 2012

Domenica, 19 Settembre 2010 12:48

Mentoring e Mecenatismo

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Con il termine mecenatismo (dal nome di Gaio Cilnio Mecenate, 68 a.C. - 8 d.C.) si indica in generale il sostegno e il patrocinio disinteressato neiclip_image004_FILEminimizer confronti di attività artistiche e culturali e, più nello specifico, nei confronti degli stessi artisti coinvolti in tali attività. In passato il mecenatismo era uso manifestarsi in forma di sostegno economico e materiale, da parte di sovrani, signori, aristocratici e possidenti, nei confronti di artisti (letterati, pittori, scultori, musici) i quali, a fronte della relativa libertà di produrre le proprie opere, tra l’altro usavano contraccambiare tale sostegno svolgendo incarichi di tipo cancelleresco oppure ponendo la propria arte al servizio del potere rappresentato dai loro benefattori, dando così prestigio alle loro corti.

Il Mecenate eponimo fu un influente consigliere dell’imperatore romano Augusto, che formò un circolo di intellettuali e poeti che sostenne nella loro produzione artistica. Nel Rinascimento italiano il mecenatismo è collegato al fenomeno della magnificenza. Tra gli esempi più noti di mecenatismo nella storia seguente vi è quello di Firenze, dove i signori della città, i Medici, sostennero e patrocinarono numerosi artisti al fine di dare lustro alla propria casata: Cosimo il Vecchio (1389-1464) e suo nipote Lorenzo il Magnifico (1449-1492) radunarono a corte i migliori artisti, letterati, umanisti e filosofi del tempo: alcuni per tutti, Michelozzo, Pico della Mirandola, Angelo Poliziano, Antonio Pollaiolo e Sandro Botticelli. Oggigiorno, estendendo il termine ad altre categorie, si parla di mecenatismo anche riferendosi al sostegno ad attività come il restauro di monumenti o attività sportive. Si usa inoltre il termine mecenate d’impresa per indicare un finanziatore di iniziative imprenditoriali con caratteristiche innovative e di rischio dalle quali non si aspetta un ritorno finanziario diretto.

11/04/2009 TB Finanzastraordinaria.it

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